Sono passati ormai vent’anni dall’emendamento di quella legge, del 20 Luglio 2000, che ha fissato ufficialmente il 27 Gennaio come Giornata della Memoria. In ambiente educativo si approfitta al volo di tale ricorrenza per aprire ancora una volta i nostri giovani occhi sul passato. Eppure, dopo molte Giornate della Memoria in cui ad accompagare il discorso dell’insegnante non c’è che un film o un documentario sulla Seconda Guerra Mondiale, si rischia di perdere il senso di questa commemorazione. Per evitarlo, noi della IIB quest’anno ci siamo inventati qualcosa di diverso. La settimana precedente la professoressa Venturini ci aveva fornito alcuni spunti su cui basarci per fare delle ricerche e ci aveva proposto di organizzare una lezione alternativa, in cui saremmo stati noi studenti a presentare gli argomenti da noi scelti.
L’esposizione storica dei ghetti è stato il primo argomento. Questi quartieri reclusivi, ferreamente regolati, nacquero prima di quanto ci si aspetti – basti pensare al fatto che esistevano già nel 1629, anno dell’assedio di Mantova descritto dal Manzoni – ma in alcuni casi ben presto gli Ebrei che vi erano confinati li seppero riscattare in centri di studio a loro vantaggio. In un discorso sull’ignoranza che provoca la reclusione, ecco spiccare la contradditorietà del comportamento del duce, che in soli quattro anni passava dal definire la dottrina nazista degna solo di un sovrano disprezzo, nel 1934, al dichiararsi pienamente concorde con quanto affermato da Hitler solo quattro anni dopo, nel 1938, l’anno delle leggi razziali. Quell’anno è ricordato come l’inizio di un periodo della guerra che subì una svolta il 16 Ottobre 1943, giorno in cui tanti Tedeschi quanti i giorni dell’anno operarono il rastrellamento del ghetto di Roma, dietro ordine di Himmler.
Forse la miglior rappresentazione scenica a proposito delle scie che ghetti, leggi razziali e rastrellamenti lasciavano nei rapporti sociali tra quelli che prima erano solo vicini e che un momento dopo si trovavano nemici, è “Concorrenza sleale”, il film di Ettore Scala che racconta di Umberto e Leone – l’uno ebreo e l’altro ariano – due commercianti di stoffe inizialmente in competizione, che di fronte alla disumanità delle leggi razziali superano le loro distanze e instaurano un buon rapporto. Proprio a proposito dell’umanità che emerge talvolta nei momenti in cui sembra che al mondo tutti ne siano privi, spiccano i “Giusti”, come Perlasca, che prima fu camicia nera ma che poi si convertì all’antifascismo spacciandosi per un ambasciatore e salvando più di cinquemila ebrei dalla deportazione (“La banalità del bene”, Enrico Deaglio); come Palatucci, un altro eroe la cui storia fu molto contestata (“Una vita da riscoprire”); come il celebre Gino Bartali, la cui ormai famosa storia di ciclismo e altruismo tornò alla ribalta l’anno scorso grazie a un testo presente all’Esame di Stato. Oltre alle reference cinematografiche, sono innumerevoli i libri che raccontano delle persecuzioni. “Per violino solo” di Aldo Zargani, per esempio, racconta la sua infanzia passata a Torino in fuga dalle persecuzioni naziste che minacciavano la sua famiglia ebrea. “L’interprete” di Annette Hess, invece, è un avvolgente intreccio che mette per caso la protagonista ignara di tutto di fronte alle ombre del passato della sua famiglia. Dato che siamo una classe multiculturale, infine, abbiamo avuto modo di scoprire che, a proposito di commemorazioni, in Russia un’altra giornata della Memoria è il 22 Giugno, in ricordo del 1941, quando Hitler attaccò e invase il Paese. Inoltre, si celebra anche il 9 Maggio, giornata della vittoria.
Una Giornata della Memoria diversa dal solito, insomma, che coinvolgendoci direttamente ci ha permesso di apprezzare molte cose. Prima fra tutte, il valore della memoria in sé come quotidiano, prezioso e fondamentale, soprattutto in quest’ultimo periodo di tensioni e intolleranze in cui noi giovani non dobbiamo lasciare che il linguaggio dell’odio ci distragga, come già spesso fa. In secondo luogo, l’importanza del racconto e della testimonianza, per smettere di pensare che siano sempre solo gli altri ad avere qualcosa da raccontare e per iniziare a valorizzare ogni piccola esperienza familiare che è giusto che non vada persa. Infine, la ricchezza della condivisione, perché trovare il nostro posto nella comunità per dire la nostra in modo consapevole è fondamentale per crescere, per diventare adulti che costruiscono il loro presente con un occhio sempre volto a ciò che è stato.
Irene Scali, con la collaborazione della 2B