Perchè gli indiani si salutano con “namastè”?
Nonostante il sistema di caste non sia più accettato legalmente, spesso i rapporti tra le persone risultano piramidali; esemplare è la situazione di commessi e camerieri, i quali vengono riconosciuti quasi come servi, e così vengono trattati.
Tuttavia, il popolare saluto “Namastè”, viene adottato da chiunque, indipendentemente dalla religione o dalla casta di chi lo usa.
Diversi sono i significati attribuiti a questa parola: in primo luogo, dal sanscrito “namah” e “te”, che letteralmente significa “i miei saluti a te” o “mi prostro a te”; “namaha” potrebbe essere interpretato anche come “non mio”, intendendo, duque, il rinnegamento del proprio ego al cospetto di qualcuno. Infine, si può intendere namastè come “possano le nostre menti incontrarsi”, ecco perchè ad accompagnare il saluto è proprio il gesto simbolico dei palmi uniti l’uno con l’altro.
Il saluto, comunque, è talmente rispettoso e nobile che di norma non è utilizzato. Al contrario, si preferisce non salutare affatto.
Perchè prostrarsi di fronte ad insegnanti, genitori ed adulti?
Toccare i piedi a parenti, insegnanti ed autorità è all’ordine del giorno per gran parte della popolazione indiana e si usa specialmente durante particolari occasioni come il compleanno, ad indicare prosperità per il futuro.
Tutti noi stiamo sui piedi: sono le nostre fondamenta, la nostra base. Secondo questa cultura, inchinarsi a sfiorare i piedi dell’adulto mostra il rispetto che si ha nei confronti dell’età, dell’esperienza e della nobiltà di chi è più grande. In aggiunta, i buoni propositi che ci pervadono durante questo gesto creano vibrazioni positive in noi, rendendoci più pronti ad affrontare la vita e ad amare e rispettare le persone.
Perchè le donne indiane hanno “un punto rosso” sulla fronte?
Il famoso “punto rosso”, il cui vero nome è tilak, ha un significato molto più profondo del mero e curioso aspetto estetico.
In principio, il tilak veniva applicato in colori diversi per distinguere le quattro caste, i Braahamana (sacerdoti) usavano un punto bianco, simbolo di purezza, i Kshatriya (guerrieri) erano simbolizzati con il rosso, colore del valore, i Vaishya (mercanti) dovevano indossare il giallo, ad indicare la prosperità nel commercio, ed i sudra (servitori) si distinguevano con il nero.
Oggi questo sistema è in disuso; si può notare tuttavia un diverso colore, ma anche diverse forme, a seconda della religione a cui chi lo indossa appartiene. A prescindere da ciò, il tilak viene indossato tra le sopracciglia (nel linguaggio yoga Aajna Chakra, punto dove si ritiene seggano il pensiero e la memoria) recitando una preghiera che invoca aiuto a trovare la retta via. Si ritiene infatti che in questa particolare zona il corpo emani più energia, ed è per questo che i turbamenti e le angosce ci fanno aggrottare le sopracciglia, provocando un calore responsabile mal di testa. Compito del tilak, dunque è di raffreddare la mente ed impedire alle angosce di nuocere al nostro corpo.
Perchè nessun indiano tocca fogli, libri e persone con i piedi?
Sin dall’età bambina, ad ogni indiano viene insegnato di non toccare mai libri, strumenti musicali, persone ed ogni genere di oggetto culturale con i piedi.
Nell’antichità, il sapere accademico e quello spirituale erano entrambi considerati sacri e venivano trasmessi dal guru nelle gurukula. Nonostante oggi si separino la conoscenza accademica e quella spirituale, ancora adesso tutto il sapere è considerato sacro, tanto da essere vegliato da una vera e propria dea delle arti e della cultura chiamata Saraswathi. A dimostrazione di questo grande rispetto, si tramanda che camminare o sfiorare uno strumento di cultura anche per sbaglio è considerato irriverente e blasfemo. Per tradizione, se mai avvenisse di commettere questo sbaglio inavvertitamente, è tipico toccare umilmente con le mani l’oggetto calpestato e portare queste ultime al petto, alla fronte o agli occhi.
Perchè gli indiani digiunano?
La maggior parte dei devoti indiani, oltre a praticare diete completamente vegetariane, digiuna durante particolari periodi di tempo. Qualcuno interpreta il digiuno come una totale astensione dal cibo, altri fanno diete a base di frutta, altri ancora assicurano diete liquide e infine qualcuno decide di privarsi persino dell’acqua. Le ragioni sono innumerevoli: per religione, per purificare il corpo o per protestare come Gandhi.
In sanscrito, il digiuno è chiamato upavaasa (“stare vicino”). Questo viene interpretato dai più come stare vicino a dio, essendo quasi la totalità della popolazione religiosa, mentre per altri significa stare vicini a se stessi. In verità, secondo la cultura orientale, questi due principi non sono esclusivi: noi tutti siamo rappresentazioni e reincarnazioni di dio, dunque noi tutti possediamo un dio dentro di noi, a cui ci possiamo avvicinare tramite il digiuno. Infatti, tramite questa pratica, il corpo non consuma tanta energia nel processo della digestione, dunque riceve meno preoccupazioni e più pace. Infine più si privano i sensi, più questi richiedono al corpo: il digiuno aiuta a coltivare i sensi, ad apprezzarli, ma anche a fermare i desideri; questo è il principio di molti filosofi antichi, ma anche dei famosi Sadhu, i quali si privano di ogni cosa materiale per focalizzarsi sull’essere.
Davide Pino (4F)- corrispondente dall’India