Mi svegliai ansimando, con la fronte madida di sudore; le mani fredde e bianche mi tremavano; scesi al piano di sotto mentre le assi del pavimento scricchiolavano sotto il mio peso.
Presi una mantellina di lana, me la misi sulle spalle e uscii. Sembravo uno spettro notturno che si aggirava per le strade, camminavo veloce, col fiato corto e cercando di trattenere i pensieri.
“Chissà se la troverò…?” Non osavo neanche pensarci, lei che era tutto ciò che mi era rimasto dopo la guerra, che era sopravvissuta ai campi di concentramento, lei che mi aveva dato la speranza e la fede.
Camminavo, cercando di trattenere le lacrime che mi appannavano la vista; il freddo mi penetrava nelle ossa ma non ci badavo, volevo solo arrivare a casa sua e vedere che stesse ancora bene o perlomeno che il cuore le pulsasse nel petto.
Entrai, sbattendo la porta, corsi verso la sua stanza, mi fermai chiedendomi se sarei riuscita a sopportare la vista del suo corpo forse esanime.Trattenni il respiro e mi misi in ascolto, non sentivo nessun rumore. Magari non erano ancora arrivati, avevo ancora la speranza di salvarla in qualche modo? Magari l’avrei convinta a scappare.
Aprii la porta, guardai il letto, era vuoto. Il vetro della finestra spaccato, in mille frantumi a terra; alcune gocce di sangue avevano macchiato il pavimento ma lei non c’ era.
Girai tutta la casa, cercando di non far rumore, magari erano ancora lì. Mi accorsi che era vuota, vuota come mi sentivo io, triste.
Mi accasciai a terra, gemendo, contorcendomi le mani; sentivo un peso sul petto, mi mancava il respiro. Volevo urlare, chiamarla, ma non ci riuscivo, la voce non trovava un varco nella gola; sentivo il gusto del sangue invadermi la bocca.
Rimasi così, al suolo, le membra pesanti e invasa dall’angoscia e dai sensi di colpa finché non mi addormentai.
Nel sonno mi sentivo oppressa, come se un velo impercettibile mi tenesse immobile, sentivo una voce dentro di me che diceva: ”Come hai permesso che accadesse? Come mai non hai fatto nulla per difenderla?” Lottai contro le palpebre pesanti, che non volevano aprirsi, ma finalmente ci riuscii.
Mi svegliai ansimando, avevo la fronte madida di sudore; le mani fredde e bianche mi tremavano; scesi al piano di sotto mentre le assi del pavimento scricchiolavano sotto il mio peso.
Presi una mantellina di lana…
Rebecca Giordo