Fra chilometrici tunnel in collegamento col Gran Sasso, corse di particelle con neutrini in pole position e pericolosi buchi neri nascosti nel sottosuolo, pronti a risucchiare l’intero pianeta in chissà quale universo parallelo, i laboratori del Cern, quasi trasfigurati nelle città futuristiche dei telefilm, vengono spesso avvolti da un’aura fiabesca, molto “fanta” e poco “scientifica”: invenzioni rivoluzionarie mai brevettate, progetti per i servizi segreti, bunker blindati dove condurre misteriosi esperimenti, individui stravaganti con le calze spaiate e il gilè che si arrovellano armati di gessetto ricoprendo di formule muri e marciapiedi. Eppure il magico mondo degli scienziati esiste davvero, molto più concreto di quanto siamo propensi a credere: 46° 14′ nord, 6° 3′ est, a cavallo di un confine, nel cuore dell’Europa. E cuore scientifico dell’Europa può davvero essere definito perché fulcro degli studi più avanzati nella fisica delle particelle e luogo di incontro e collaborazione per gli scienziati di tutto il continente e di tutto il mondo. Venti gli Stati membri che contribuiscono a portare avanti le ricerche, cui si aggiungono gli aiuti provenienti da altri stati “osservatori” anche extraeuropei. Protagonisti dagli eventi nella “città della scienza”, non manipoli di geniali e alienati studiosi, ma loro, i ricercatori, che da ogni parte del globo giungono a 46° 14′ nord 6° 3′ est, a pochi passi dalla città dell’accoglienza, per condividere laboratori, computer, progetti, idee, conoscenze, ore di studio, ore di controlli, ore di osservazione, ore di attesa. Ore di attesa perché non sempre la scienza risponde con i tempi giusti. Ore di attesa perché a volte non tutto funziona come dovrebbe. Accompagnati attraverso il complesso degli acceleratori si capisce finalmente che la nostra cara Terra non è mai stata sul punto di collassare in nessun buco nero, non ci è andata neanche lontanamente vicina. Loro, i ricercatori, invece sì, devono essersi sentiti sprofondare in un enorme buco nero quando a soli nove giorni dal primo esperimento un difetto nel collegamento fra due magneti ha rischiato di mandare all’aria il lavoro di mesi. Non molto soddisfatti di essere osservati attraverso un vetro mentre monitorano i risultati di ATLAS (uno dei sette esperimenti principali condotti dall’Organizzazione Europea per la Ricerca Nucleare), riescono comunque a rendere un po’ più comprensibile il loro lavoro anche ad un gruppo di liceali, che il fascino della fisica si sa (salvo rare illuminate eccezioni) lo subiscono ancora ben poco. È l’incontro con loro ciò per cui vale veramente la pena raggiungere quei 46° 14′ nord, 6° 3′ est, ciò che lascia davvero irretiti nel mondo delle scienze. Fra qualche difficoltà a ricordare i termini della propria lingua – conseguenza involontaria della convivenza prolungata con quella altrui – e un po’ di sana ironia sul bisogno continuo di finanziamenti, sembra davvero che gli abitanti del magico mondo dei ricercatori di quella “ricerca” non possano proprio farne a meno. È l’interesse comune che porta naturalmente alla collaborazione a prescindere da qualsiasi differenza: un ponte fra le nazioni in nome della ricerca scientifica. Perché, suggerisce uno di loro, anche se spesso si è portati a pensare il contrario, non si “ricerca” in funzione delle applicazioni tecnologiche, quelle vengono dopo, inaspettati corollari. Si fa ricerca per il piacere della scoperta in sé, per il desiderio di lasciarsi stupire ogni volta di più, di spingersi ogni volta più avanti.
Federica Baradello (5F)