Fra decine di giornalisti che hanno intervistato l’astronauta Luca Parmitano durante la sua visita al Convitto di venerdì 22 Febbraio c’eravamo anche noi inviati dell’UmberTimes, che non abbiamo perso l’occasione di fare quattro chiacchiere con lui!
Cominciamo con una domanda di carattere scientifico … Durante i vostri allenamenti come simulate l’assenza di gravità?
A me piacerebbe che ci fosse un macchinario in grado di eliminare la forza di gravità, tuttavia questo non è possibile, perché è una forza universale. Abbiamo perciò due modi: uno, quello più costoso, ci permette di essere effettivamente in caduta libera in assenza di gravità e consiste nell’effettuare voli parabolici. L’Agenzia Spaziale Europea ha a disposizione un Airbus 300 in grado di eseguire delle parabole nel corso delle quali, per circa trenta secondi, ovvero nella parte alta dell’arco della parabola, si è in assenza di peso. In questo lasso di tempo le condizioni sono quelle che troveremmo nello spazio. Durante un volo di tre o quattro ore si riescono ad effettuare trenta o quaranta parabole. In questo modo, durante il nostro addestramento, abbiamo avuto modo di sperimentare come si comportano i pesi e il nostro organismo in assenza di gravità. Questo è chiaramente un modo molto dispendioso dal punto di vista energetico: bisogna essere vicini ad un aeroporto e perciò non è una cosa che possiamo fare sovente. Solitamente invece ci addestriamo sott’acqua: in questo caso abbiamo infatti a disposizione un sistema che ci permette in qualsiasi momento di rimanere statici nell’acqua. In realtà è la nostra tuta spaziale ad essere in assenza di peso, non noi al suo interno. Possiamo quindi spostarci dentro la tuta e sentire il nostro peso sulle pareti della stessa, ma è un modo davvero molto realistico per abituarsi a muoversi e a lavorare in assenza di peso.
Nel caso ci fossero problemi a bordo, di che tipo di piani di emergenza disponete?
Dipende dal tipo di problema. Nel caso di piccoli problemi medici a bordo abbiamo dei dispositivi atti sia alla prevenzione che alla correzione. Gli astronauti – io compreso – sono comunque tutti abilitati ad effettuare basilari interventi di natura medica. Sulla stazione è già successo in passato che ci fossero incendi o depressurizzazioni; questi sono i due casi fondamentali in cui è previsto il rientro immediato dalla stazione o dalla navetta in fase orbitale. Se si è su una navetta si rientra immediatamente a terra; dove si finisca è un problema secondario, la cosa più importante è salvare le proprie vite. In realtà a bordo della stazione spaziale in caso di problemi gravi i casi sono essenzialmente tre: incendio inestinguibile, depressurizzazione molto rapida che non sia possibile fermare e atmosfera tossica dovuta all’ammoniaca utilizzata nel sistema di raffreddamento del segmento americano. Per questo tipo di difficoltà abbiamo sempre attaccate alla stazione alcune navette Soyuz – utilizzate sia per tornare indietro che in caso di emergenza.
Questa domanda è un po’ più personale rispetto alle altre. Come si convive con la consapevolezza di vivere un’esperienza totalizzante, insomma, di essere unici?
Mi piace molto la parola consapevolezza, bisogna avere questa consapevolezza. Non è però la consapevolezza di essere unici: mi piacerebbe estendere questa esperienza ad altre persone, soprattutto ai ragazzi. Credo che gli astronauti non siano persone straordinarie. Mi piace pensare di essere una persona normale che ha il privilegio di fare qualcosa di straordinario. Io sono il risultato di un sistema italiano, completamente pubblico, che mi ha portato attraverso un percorso di studi scientifico e professionale ad essere qui oggi. In quanto privilegiato, visito le scuole proprio per condividere questa mia grande possibilità: è dunque l’esperienza ad essere straordinaria, non chi la fa.
Potrebbe raccontarci il momento più divertente e il momento peggiore del training?
È sicuramente una domanda difficile. Io faccio un lavoro che mi prende molto sotto ogni aspetto. È un hobby, una passione, uno stimolo continuo. Sono in addestramento da due anni e mezzo, e non riesco a pensare ad un periodo della mia vita che sia stato più intenso. Ci sono sicuramente state delle difficoltà e ho affrontato queste sfide quasi con gioia, con caparbietà perché sapevo che era un momento unico per me. Le sfide non fanno altro che rendere il lavoro più interessante. Non saprei parlarvi di un momento particolare, però quello degli esami è sicuramente un periodo difficile. A novembre ho cominciato una sessione di esami di circa un mese e mezzo: abbiamo dovuto dimostrare alle commissioni internazionali di essere un buon equipaggio di backup per la Stazione.
Anche le simulazioni sono momenti difficili, ma in fondo è il nostro lavoro e si devono affrontare con entusiasmo. È difficile scegliere un momento divertente, perché mi sono reso conto che da quando sono stato selezionato come astronauta vado sempre al lavoro col sorriso, indipendentemente dalle attività della giornata. Il privilegio di fare questo lavoro è anche quello di vivere giornate tutte diverse e di imparare da tutte le persone che si incontrano. Da tre anni sono circondato da persone che mi fanno divertire e mi insegnano tantissimo, per me è una quotidiana lezione di umiltà. Questo sorriso da bambino nel giorno di Natale mi accompagna ormai da molto tempo.
Vorremmo un parere sulle ultime scoperte di Curiosity.
Una parola soltanto su un altro robot, Opportunity, che è su Marte da molti anni e sta facendo ancora delle importanti scoperte di geofisica – anche se forse non è il termine esatto parlando di Marte! – che chi è interessato alla scienza planetaria può seguire anche su internet. Quella di Curiosity è sicuramente un’avventura che continuerà per molto tempo e porterà nuove conoscenze. In campo scientifico si aspettano con ansia i risultati di questa missione.
A bordo dell’ISS come verrà gestito l’aspetto scientifico della missione? Sappiamo che svolgerete vari esperimenti fisici e chimici in condizioni di microgravità …
Microgravità è il termine preferito dagli scienziati, io preferisco assenza di peso, perché la gravità, micro o macro, è sempre presente. È un’assenza di peso dovuta al fatto che siamo in costante caduta libera, avvicinandoci davvero molto all’assenza di gravità. Di esperimenti sulla Stazione se ne faranno davvero tanti: in qualsiasi momento dell’anno ne sono in corso dai cento ai centotrenta. Ogni partner internazionale ha la possibilità di proporre degli esperimenti che verranno poi realizzati sulla Stazione. L’ISS è un enorme, modernissimo laboratorio orbitale; gli astronauti devono poi sorvegliare le installazioni, compiere gli esperimenti e rimuovere quelli terminati. Noi siamo gli occhi, le mani e le orecchie degli scienziati che a terra li hanno programmati. A volte noi stessi facciamo da cavie per gli esperimenti: io personalmente mi sono offerto volontario per alcuni esperimenti di fisiologia umana. Un esperimento italiano in orbita si chiama Green Air: tratta di combustione chimica e consiste infatti nella produzione di combustioni controllate con lo scopo di ridurre le emissioni nocive. Si studiano, quindi, nuovi combustibili e comburenti per un futuro in cui essere vicini all’ambiente e utilizzare nuove fonti energetiche sarà indispensabile. Un altro esperimento di fisiologia che avrà un impatto immediato anche sulla Terra e che sarò il primo a portare avanti consiste invece nel bilanciare l’osteoporosi causata dalla perdita di densità ossea in orbita tramite una dieta ricca di proteine animali e potassio.
Che cosa la spinge a mettere in pericolo la sua salute?
Secondo me non esiste nessun privilegio che non sia bilanciato da un grande sforzo. Io sono un privilegiato e mi sembra che il prezzo da pagare sia davvero basso; il contributo del singolo è in realtà fondamentale per l’esplorazione spaziale. La spinta è tutta interiore e credo che sia la stessa per tutti gli astronauti.
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A cura di Luigi Botta (4C)
Chiara Murgia (4C)
Sara Schiara (4B)
Federica Baradello