Voglio farti una domanda seria, per una volta.
Ammesso e concesso che tu la risposta ce l’abbia, secondo me io la conosco già. Le opzioni contemplate come possibili tue reazioni sono statisticamente due: o ti sentirai un fenomeno, oppure farai spallucce. Immaginati da adulto – sai, responsabilità, l’IMU da pagare con i tuoi soldi, moglie, figli che fanno la lotta nel giardino della casa di campagna col cane, quello straccamento di palle lì, insomma – immagina … non so, la notte di Capodanno, quando lo zio ubriaco con la canottiera sporca di ragù racconta in piemontese barzellette su bionde e carabinieri, la casa scintilla di luci e risuona delle grida dei bambini già finiti sotto il tavolo e delle sghignazzate dei tuoi storici ex-compagni dell’università che con la faccia arrossata dall’alcool continuano a proporre brindisi sempre più improbabili. Immagina di alzarti – un po’ traballante, un po’ strabico – ed andare a fumarti una sigaretta fuori sul balcone. Fa freddo, il fiato si condensa davanti alla tua bocca. Alza il naso per aria. Le stelle fredde, impassibili, formate dal fluoro dei tuoi denti, dal calcio delle tue ossa, del ferro del tuo sangue, dal gas che c’è nel tuo intestino – eppure così lontane, bastarde, così inarrivabili se non ci inventiamo le equazioni giuste. L’Universo, nero come uno scarafaggio, profondo, che ti ride in faccia (Che ti guardi? Ti senti imbattibile, eh? Aspetta e vedrai come l’uomo riuscirà a colonizzarti).
Immagina di esserci stato. Come ti sentiresti? Come potresti conciliare il lavoro la routine i figli la moglie il cane lo zio ubriaco gli ex-compagni dell’università il Capodanno, con la consapevolezza di essere unico, di essere sprofondato nel silenzio disarmante dello spazio fra gli astri, di aver visto da lontano la Terra grande quanto una schifosissima palla da bowling, di aver visto il sole sorgere e tramontare sedici volte durante un giorno? Nessuno capirà quello che hai passato, quello che hai visto. Sarai solo come un cane. Un eroe, certo. Ma intorno a te, il vuoto.
Dai, considerato che questo articolo me lo metteranno nelle ultime pagine in quanto “molto poco giornalistico”, avrai già letto di Luca Parmitano & Co, no? (Se non l’hai fatto, fila all’inizio di questo gornale!) Parmitano, che se permetti non è il primo che passa per strada, alla mia domanda risponde così: “mi piace molto la parola consapevolezza. Non credo che gli astronauti siano persone straordinarie (…) Mi piace pensare di essere una persona normale che fa qualcosa di eccezionale. Sono qui in quanto privilegiato. È l’esperienza ad essere straordinaria, non chi la fa.” Non credo che con questo si guadagnerà un poster sopra la mia scrivania accanto a Morihei Ueshiba, alla Montalcini e alla tavola periodica – direi di no. Non se l’è guadagnato Einstein perché persino la relatività grande e ristretta passano in secondo piano quando sei umanamente parlando una brutta persona, figurarsi Parmitano che, tutto sommato, è una persona con i piedi ben piantati per terra (hem, in senso figurato) che non ha né il brutto carattere né il genio del tipico uomo di genio dal carattere pessimo. Ma la giornata del 22 febbraio è stata, più che una rivelazione, una conferma su molti fronti: per prima cosa, che gli uomini e le donne con le palle ce la fanno. Sembra banale, ma – che cavolo! – è una rivincita per la gente che morde, per chi sta zitto e pedala, per chi è veramente cazzuto ed operativo. È stata un’occasione per riflettere sul perché un uomo dovrebbe accettare deliberatamente di mettere a rischio la sua vita per … per che cosa? Senso del dovere? Tipo l’Ultimo samurai? Sete di conoscenza? Non ce lo vedo come Ulisse 2000. Gusto del pericolo? Naah, troppo cowboy. Narcisismo? Soldi? Mah. Ecco un’altra buona domanda. È stata una conferma sul fatto che è più costruttivo l’ottimismo che il disfattismo, che è più furbo avere fiducia nella scienza che additarla come colpevole dei mali moderni, la conferma che persino Parmitano sa che a ricevere l’eredità degli sforzi degli astronauti di adesso forse non saranno che i nipoti dei nostri nipoti, e che molto probabilmente il suo contribuito sarà minimo ma che quel poco che ha fatto, su cui ha sudato e penato ed a cui ha consacrato l’esistenza, andrà a costituire un’altra piccola tessera di quel gargantuesco puzzle cosmico che altri uomini magni sveleranno al mondo ed alla storia.
No, niente poster sopra la mia scrivania. Ci metto l’adesivo – sai, quello tondo e blu che ha dato anche a te. E ci sta pure bene.
Sara Schiara (4B)