Frammenti di coscienza (in volgare)

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specchioIniziò a camminare, prima piano, focalizzandosi sul movimento, ascoltando il suo respiro, poi senza neanche accorgersene il passo accelerò sempre di più; non corse mai, ma camminò sempre più velocemente, girava e girava, a volte su se stessa.
Si fermava. Ricominciava. Inciampava. Cadeva.
Non gliene importava nulla, stava male, voleva piangere, ma non aveva più lacrime. In realtà voleva urlare, urlare con tutta la sua voce, sino ad arrivare a perderla, con tutto il fiato che aveva. Urlare quanto soffriva, urlare al mondo sperando che prima o poi qualcuno la ascoltasse e la aiutasse. Lei aveva tutto, veramente tutto, tranne l’unica cosa che davvero voleva, non aveva quell’unica cosa che il suo cuore desiderava, che lei desiderava, con tutta se stessa.
Voleva che per una volta, per quella volta, scegliessero lei, che lui scegliesse lei.
“Sei innamorata vero?”
Si sveglia dal nulla. “Che vuoi tu?”
“Niente, ti sto osservando e vedo nei tuoi occhi che cos’hai.”
“Ah si? Vedi nei miei occhi? Tu non vedi proprio, non vedi proprio nulla, non sai come sto, non sai cosa vuol dire essere come me, non sai cosa provo, non sai come ci si sente ad avere vicino a te tutto ciò che vuoi, arrivare persino a sfiorarlo, ma non poterlo avere mai, tu non lo sai!”
“Come non puoi? Nulla è impossibile”
“Questo sì, ora vattene, nemmeno ti conosco”
“Ma piantala cretina! Sono la tua coscienza, ogni volta mi tratti così, ma accetta che sono una parte di te e da qui non me ne vado!”
“Se sei la mia coscienza dovresti sapere che è impossibile”
“Lo so, ma tu sei la persona con più speranza nel cuore in questo mondo! Ed essendo parte di te non posso che averne anch’io.”
“Già, la speranza, una brutta malattia, bruttissima, come si fa a continuare a sperare anche quando non esiste nemmeno un piccolissima possibilità?”
Era così in tutto, sperava sempre, in ogni momento, in ogni circostanza, anche quando non c’erano possibilità, lei apriva il suo cuore ogni volta, lo esponeva al mondo e ai pugnali che puntualmente lo trafiggevano, eppure, pur sapendo cosa la aspettava, il dolore che la attendeva, lei continuava ad esporre quel cuore sperando che un giorno qualcuno lo noti e gli curi le ferita, anziché ferirlo nuovamente.
Cuffie all’orecchio, gli Scorpions che cantano, che la portano via, in un altro mondo, in un’altra dimensione, e lei continua a camminare.

Aimar Domiziana (3B)

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