Pensavo di venire negli Stati Uniti per imparare l’inglese, pensavo di tornare in Italia vantandomi di poter “passare il FIRST” senza studiare, ma la verità è che, probabilmente, rientrerò al Convitto sapendo meno di quanto sapessi quando sono partita.
Consideriamo lo scenario del film “Bad Boys” come città la cui lingua ufficiale è l’inglese, ma la verità è che mi trovo in una colonia cubana!
Il gentile signor Fidel Castro provocò nel 1959 un’evacuazione senza precedenti dall’isola e flotte e flotte di cubani si spingono tutt’oggi (anche tramite mezzi estremi) verso le coste della Florida. Indovinate qual è la prima città che incontrano?
Molti miei coetanei sono nati a Cuba, ma sono scappati qui a Miami prima ancora che potessero parlare. Da quando sono arrivata non smettono di raccontarmi storie pazzesche della loro fuga dal socialismo, dall’impronta lasciata da Castro e dall’arretratezza confinante con l’innovazione del mondo USA. “Cuba è un posto magnifico, devi vederlo almeno una volta nella vita, tanto bella da visitare quanto terribile da viverci” mi ripete sempre il mio professore di spagnolo, anche se ritiene che il quartiere cubano di Miami sia una perfetta riproduzione della sua città.
Più del 70% della popolazione della città è latino americana, un sollievo, quando ero appena arrivata, poiché pochi hanno la perfetta padronanza di una lingua, che sia inglese o che sia spagnola. Non mi sentivo inferiore a loro, insomma.
La lingua ufficiale è lo Spanglish. Il che per me era assolutamente una manna da cielo: in un discorso in inglese, se non riescono ad esprimere un concetto o non si ricordano una parola, boom!, a metà frase cominciano a parlare in spagnolo e la conversazione va avanti così.
La mia professoressa di matematica, nata in Havana e fermamente innamorata della sua città, conta quanti dei suoi studenti parlano spagnolo e in base alla maggioranza decide in che lingua tenere la lezione.
Se pensiamo al buon Sam, mio fedele vicino di banco durante AP Calculus, un po’ di pena ci viene. Il poveretto passa l’ora e quarantacinque a chiedermi di tradurgli la battuta o la domanda fatta dai nostri coetanei poiché lui, nato e vissuto a New York fino allo scorso agosto, lo spagnolo proprio non lo sa.
Paradossalmente, un americano medio è discriminato nel suo stesso paese per una lingua che non sa parlare.
E anche vero, però, se mi è concesso un commento personale, che i cubani sono personaggi proprio simpatici. Non tanto per il loro accento o per il loro fare eccentrico, quanto per le piccole cose come chiamare un birra “Llave” invece di Beck’s perché è l’immagine riportata sull’etichetta, citare in continuazione Pitbull ripetendo “Dale” come se fosse una congiunzione, comprare vestiti da 4000$ alle proprie figlie per il quindicesimo compleanno, la famosa quinceañera cubana (ho visto vestiti che voi italiani non potete nemmeno immaginare).
Ciò che devo a questa esperienza è che ho imparato a distinguere diversi tipi di culture. Prima di venire qui non aveva un’idea molto chiara del Centro e Sud America. Miami mi ha insegnato a distinguere un cileno da un venezuelano, un cubano da un costaricano e un argentino da uruguaiano.
Una città enorme per tutte le culture e le persone che la rendono speciale come la conosciamo tutti.
“Miami is a melting pot in which none of the stones melt. They rattle around” – Tom Wolfe
Virginia Vitale (4F)- corrispondente dagli Stati Uniti