Tutti noi siamo cresciuti con i nostri genitori o i nostri nonni che ci leggevano le fiabe per farci addormentare: chi può dire di non conoscere “Cappuccetto Rosso?” E’ una delle fiabe europee più popolari al mondo che, nonostante sia una fiaba per bambini, contiene riferimenti ad argomenti come violenza e cannibalismo. Ma anche “Pollicino” e “Hansel e Gretel”: tutte queste storie hanno in comune il contrasto fra il mondo luminoso e sicuro del villaggio e quello oscuro e insidioso della foresta, un’antitesi tipicamente medioevale. Infatti, queste fiabe fanno parte della cultura popolare dell’Alto Medioevo, epoca che va dalla caduta dell’Impero Romano d’Occidente (476) fino al 1000 e che è caratterizzata dalla scarsità di cibo, dall’impoverimento delle città, dalle carestie, dalle invasioni e in cui la maggior parte del territorio era ricoperto da foreste. La foresta era simbolo del pericolo che incombeva in quei tempi; essa era vista come un luogo dove tutto poteva accadere. Quando diventava incolta e oscura, incominciava ad essere pericolosa perché nascondeva insidie reali: animali feroci, come il lupo, il suo più terribile abitante, e un terreno impervio. Si trattava dunque del luogo in cui regnavano la paura, le tenebre e, quindi il peccato. L’uomo medievale vedeva con timore e sospetto la natura, motivo per cui la foresta diventa anche uno spazio in cui mettersi alla prova: la prova che l’uomo deve affrontare contro la natura, pari a quella che i cavalieri devono affrontare contro i draghi, streghe e mostri. Io non sono mai stata in una foresta fitta nella quale anche in pieno giorno si vede appena la luce del sole, ma vado tutte le estati in montagna, in Val Maira; lì passo le mie intere giornate nei boschi. Per me la foresta è semplicemente simbolo di libertà. E’ anche vero che può essere un po’ inquietante, ma è anche pieno di esemplari di piante e di animali meravigliosi di cui molti di noi, abituati alla città, non conoscono neanche l’esistenza. All’inizio di questo tema ero molto indecisa se fare questa traccia o la numero 5 su “Le affinità elettive”, un libro molto affascinante sull’amore. Alla fine ho optato per questa traccia perché, se devo essere sincera, non so niente riguardo all’amore. Al contrario, la foresta intesa come natura, è ciò che meglio mi rappresenta. Facevo già passeggiate nei boschi quand’ero ancora nella pancia di mia madre e, successivamente, negli “zaini porta-bambini” sulle spalle di mio padre. Ho imparato a camminare, ad andare in bici e ad andare a cavallo nei boschi; addirittura ho passato una gran parte della mia infanzia ad arrampicarmi sugli alberi. Mio fratello ed io, con alcuni nostri amici, passavamo le estati a giocare nei boschi, inventandoci basi nascoste di elfi e andavamo in giro parlando lingue inventate. La sera, invece, quando era già buio, facevamo un giro per un sentiero del bosco con una pila che, con il passare degli anni, accendevamo sempre meno, perché ci facevamo coraggio l’un con l’altro e riuscivamo a superare le nostre paure. Quindi, nonostante la foresta possa essere un luogo misterioso e inquietante, insieme alle persone giuste può diventare un posto fantastico pieno di meraviglie ancora da scoprire.
Donato FedericA (3H)