Irresistibile torpore di fine estate

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Sotto il caldo sole d’agosto, quando nell’andirivieni estivo ti ritrovi a passare per caso davanti all’oggetto che fino a qualche mese prima aveva perseguitato le tue giornate, il suo ricordo è talmente sfumato da farti dubitare che sia sempre stato in camera tua. La scrivania, ormai più simile a un bidone della spazzatura napoletano che a un tavolo, conserva a malapena un’ombra del suo originario utilizzo. Fra cartoline, avanzi di valige sfatte e da rifare, bicchieri di the freddo, tazzine del caffè, penne, matite, fogli e pennarelli però, si intravedono ancora le pagine di un libro abbandonato sotto il cumulo estivo alla fine di giugno. Quando decidi di estrarlo riemerge dalla marea di oggetti come un vecchio galeone pirata, su cui sventola ancora, un po’ mogia e stracciata, la celebre bandiera nera, icona delle torture che era in grado di infliggere nella sua epoca d’oro. Stranamente, forse ammaliato da qualche “maledizione della prima luna” o nella speranza di trovare il tesoro di Stevenson, decidi di aprirlo. Sfogliando le pagine come un album di vecchie fotografie, riscopri le immagini di pomeriggi trascorsi a studiare consegne che dicono tutto o niente e optando sistematicamente per il “niente” considerato che sul “tutto” sarebbero potuti nascere problemi troppo seri. Oltrepassata la consegna, ti ritrovi a brancolare nel buio più totale. Avanzi a tentoni, inciampi in quelli che sembrerebbero i resti di una formula fisica e urti alcune nozioni di biologia inspiegabilmente appiccicate alla pagina di Dante che ti aveva martellato in testa per una settimana, egoisticamente ostinata a non voler lasciare spazio a quelle successive. Poi le tue dita fanno scattare un interruttore e si accende una lampadina che illumina quel poco che c’è da illuminare, anche se con la frequenza degna del neon di un film dell’orrore. Così la tua testa ti appare come una soffitta inesplorata da anni, coperta da uno strato di polvere tanto spesso da fare invidia a un tappeto persiano. Ti rendi pericolosamente conto che la situazione è preoccupante, o meglio, che lo sarebbe se l’inerzia estiva, che stenti a sotterrare nella buona volontà, non avesse prosciugato persino la voglia di preoccuparsi per qualsiasi cosa definibile anche solo lontanamente scolastica. Senza nuovamente capire del tutto il perché ti armi di straccio e buona volontà e immedesimandoti in una specie di laboriosa Cenerentola, cominci ad aprire un varco nel tappeto di polvere, sperando che arrivi presto anche per te il lieto fine.

Un odore familiare e inebriante ti distoglie dal tuo intento dopo quelle che sembrano ore, ma in realtà non saranno più di venti minuti, e ti fa precipitare fuori dalla soffitta in un circolo di ricordi. Insegui un’immagine più sfuggente della madeleine, non molto convinto che possa funzionare con qualcuno che non sia Proust, ma alla fine anche il tuo ricordo si avvicina alla superficie, mentre l’odore diventa sempre più forte: l’odore delle ultime settimane di routine straordinaria. La fine dell’estate. Le ultime settimane per praticare lo sport del “rimandare a domani”. Abbandoni il galeone fra gli abissi, lasci a Stevenson il suo tesoro, a Cenerentola il suo principe azzurro e ti lasci scivolare ancora una volta nel tiepido tepore estivo.

 

Federica Baradello (4F)

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