Con tre dita si scrivono libri

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Il piccolo aveva ultimato il suo tema e si apprestava a far leggere al padre il suo lavoro.

Uscito dalla sua camera, si avvicinò con passi veloci e frettolosi al padre, il quale era intento a sfogliare una vecchia rivista dimenticata sul tavolo da chissà quando. Il piccolo arrivò e consegnò con un sorrisone soddisfatto il lavoro al papà che iniziò a leggerlo pazientemente.

Il padre leggeva e rileggeva, con il suo sguardo severo guardava e riguardava le frasi che il figlio aveva scritto e rifletteva, tra sé e sé, mentre il bimbo scrutava le espressioni del padre attento, come per cercare un qualsiasi segno di disapprovazione o di critica. Dopo qualche lungo minuto, il padre alzò gli occhi dal foglio, fissò il figlio e aprì bocca, ma non parlò, anzi, restò fermo come per cercare le parole per ciò che voleva esprimere al bimbo e, dopo qualche attimo, ruppe il silenzio che regnava ormai da diversi minuti nella casa.

 -Piccolo, dimmi, cosa provavi mentre scrivevi questo testo? Cosa sentivi dentro di te? Quali sensazioni emergevano? Quali emozioni percepivi mentre scrivevi le situazioni che hai descritto?

Il fanciullo rimase interdetto a quella domanda che non si aspettava neanche lontanamente e che non si era mai chiesto mentre buttava giù i suoi pensieri. Rimase in silenzio e rimuginò per un po’ sulla risposta da fornire al padre, ma la replica al quesito non arrivava.

Fu il padre a parlare di nuovo ed interrompere la riflessione del figlio.

-Qui, tra queste parole e tra le righe di questo foglio per metà bianco – pronunciò queste ultime tre parole con particolare enfasi, lasciando il figlio non poco amareggiato       – non riesco a sentire nessuna di quelle cose che ti ho chiesto prima… tutto è secco, sbiadito, buttato giù di malavoglia e a forza, bianco e nero, senza vita… Insomma… –

e guardò il foglio con le sopracciglia corrucciate ed un espressione che era una via di mezzo tra sdegno e tristezza, portando il povero figlioletto quasi al pianto tanto si sentì male. Al piccolo gli si stavano inondando gli occhi di lacrime quando il padre riprese il suo discorso:

–  Vammi a prendere un foglio a righe… – disse con voce dolce cercando di assumere un atteggiamento che allontanasse il pianto dagli occhi del figlio. Il fanciullo obbedì e gli portò il foglio. Preso il foglio glielo mostrò.

–  Guarda questo foglio: cosa ti sembra?

Il bambino non rispose. Il padre lo osservò un istante poi riprese:

–  Fai bene a non rispondere, questo foglio non è niente. O almeno, è solo un pezzo di cellulosa con delle righe sopra. Ma vedi, come ti ho già detto, questo foglio non rappresenta nulla. È come un quadro senza i colori, come uno spartito senza le note, come… come un cielo senza stelle e luna; non ti ispira nulla, non ti regala nessuna emozione…-

Il bimbo cominciò ad interessarsi di ciò che suo padre stava dicendo ed asciugò le poche lacrime che nel frattempo erano gocciolate.

–  Però tu puoi trasformarlo. Tu puoi renderlo un capolavoro. Puoi far diventare questo pezzo di carta un poema di incredibile bellezza, un racconto entusiasmante o una storia da lasciare senza fiato. Puoi far diventare questo foglio, e se poi finisce anche un altro e un altro ancora, un libro che venderà trilioni di copie e che farà sognare ad occhi aperti tutti i bambini del mondo; puoi farlo diventare una poesia talmente bella e toccante che verrà ricordata nelle future generazioni ed insegnata a scuola ai tuoi nipoti! Tutto quello di cui hai bisogno ce l’hai racchiuso dentro la penna che hai in mano. E tutto quello che devi fare è lasciare sgorgare le emozioni fuori dal tuo cuore, riversarle con la forza di un fiume in piena su questo foglio bianco e condividerle con il mondo, farle conoscere e capire a tutti quelli che le leggeranno nei tempi a venire. Dai la vita all’inchiostro nella penna, lascia che racconti i tuoi pensieri agli altri! –

disse il padre con fare esortativo, alzando inconsapevolmente il tono di voce.

Il piccolo, estasiato da ciò che il padre stava dicendo, era rimasto a fissarlo nonostante lui avesse finito. L’uomo, vedendo il figlio ripreso, abbozzò un sorriso, come per far capire al piccolo che era tutto quello che aveva da dirgli. Dunque il fanciullo strappò dalla mano del padre il foglio bianco e corse in camera con lo stesso sorriso con cui era andato dal padre stampato sulla faccia, mentre provava una strana sensazione, una sensazione che era un misto tra soddisfazione e ispirazione.

                                                                                                          Pouya Houshmand (2E)

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