In terra francese

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Il 4 aprile 2011, alle ore 16.30, i nostri eroi della IV B del liceo classico “Umberto I” di Torino approdano sulla sconosciuta terra di Montpellier. Scendendo da un pullman spaziale di ultima generazione, sono accolti dagli indigeni locali e da un fresco venticello boreale che li refrigera dopo il loro lungo viaggio. Ogni ragazzo italiano viene rapito dal proprio corrispondente francese per conoscere da vicino la casa dolce casa dove sarà ospitato per una lunga ed intensa settimana. C’è chi si ritrova spaparanzato su un letto a tre piazze in una villa a tre piani con giardino, chi in un monolocale soppalcato e con un  materasso pressoché attaccato al soffitto; chi, più fortunato, può godere di una vista sulle piccole e trafficate stradine del centro e chi deve impiegare anni luce per raggiungere un centro abitato. Il giorno successivo i baldi giovani affrontano una dura prova: l’accoglienza al liceo francese “Guesde”, un enorme edificio color marroncino ormai scolorito, simile ad un grande ospedale, e brulicante di ragazzi caffèlatte che parlano così velocemente che il francese diventa quasi meno comprensibile del cinese. Entrati nel liceo tutti rimangono sbalorditi: è una scuola vecchia, trasandata, con i soffitti che ti cadono in testa se non hai i riflessi pronti e classi provvisoriamente  spostate in gabbiotti di metallo in attesa di ristrutturazioni. Tutto è diverso, troppo diverso dal mondo italiano: i giovani barottini si ritrovano in un ambiente abbandonato a se stesso che si oppone completamente alle grandi scuole storiche e ben curate del centro di Torino e, forse perché troppo viziati, non sono molto “open minded” verso nuove situazioni di vita.

Nei giorni seguenti i ragazzi  si improvvisano veri e propri turisti e, come piccoli paparazzi giapponesi, visitano siti culturali e caratteristici della Francia meridionale come Nime, Arles, Sète, alcuni musei incentrati sull’arte barocca e sull’arte povera moderna e ovviamente il centro storico di Montpellier. Tra archi, dipinti e chiese possono dare sfoggio della loro approfondita cultura, delle loro profonde conoscenze, ricevendo sia dalle guide, sia dagli stessi insegnati francesi valanghe di complimenti e lusinghe. “Non ho mai conosciuto dei ragazzi così colti e svegli come voi”: sono queste le parole che continuano ad uscire dalla bocca del professore francese che si occupa di portare i ragazzi da un museo ad un altro e che vengono orgogliosamente accolte dai ragazzi ancora più ringalluzziti e fieri di sé.

Mente di giorno assumono le sembianze di ricchi signorotti avidi di cultura, la sera si scatenano tra bar, parchi e feste: Montpellier è una città estremamente giovane e il divertimento e la vitalità sicuramente non mancano. A tarda sera si trascinano quasi come zombie per rincasare, ma, aperta la porta di casa, quando stanno già per tuffarsi con un triplo salto carpiato nel letto, ecco che arriva tutta la famiglia al completo a cui e d’obbligo raccontare per filo e per segno tutte le innumerevoli cose viste, dette e fatte durante il giorno. La maggior parte delle famiglie, quando accolgono persone straniere, si dimenticano che sei solo straniero e ti trattano come un sordomuto atterrato su Marte: iniziano ad urlare, credendo così di farsi capire meglio, ed a squadrarti dalla testa ai piedi mentre tu stai raccontando vita, morte e miracoli di te. Ma questi genitori francesi possiedono anche aspetti positivi che gli italiani non posso fare a meno di notare: lasciano i loro figli molto più liberi ed indipendenti che in Italia. In Francia a 18 anni si è già fuori casa e se non lo sei, sei considerato, in parole spicciole, uno sfigato. Una visione diametralmente opposta a quella italiana dove le madri continuano a pedinare i figli anche quando questi hanno quarant’anni.

E così tra una “visite au musèe” e una “fête” i ragazzi sono pronti per ripartire, per lasciare la dinamica cittadella francese e rientrare nella seria e razionale Torino, per salutare e dire addio con i volti commossi ai loro “cugini” francesi e per concludere il loro viaggio con un finale quasi da film strappalacrime.

 

Martina Calvetti (4B)

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