Primavera 2011.
Nell’atrio severo del Convitto esplode un angolo di allegria e colore: è il banchetto di uova di Pasqua variopinte intorno al quale s’affaccendano i ragazzi della IV liceo, coordinati dalla maestra Enza. Maestra e studenti del liceo? Sì, il nostro è un Istituto comprensivo e convittuale: finalmente il Comenius ha fornito l’occasione per cooperare prima di tutto al nostro interno.
La vendita sta avendo successo oltre ogni previsione e il gruzzolo ricavato andrà sul conto dell’Associazione no profit “Oggixdomani”, fondata dai “reduci”, insegnanti e ragazzi che nel biennio 2008-2010 hanno partecipato al progetto Interlegendary Dialogue: l’ intento è sostenere gli amici turco-curdi della scuola elementare di Dogubeyazit, spedire materiale didattico, organizzare campi di volontariato per gli studenti più grandi.
L’Associazione è un punto d’arrivo ed una nuova partenza…
Inverno 2008-2009.
Il Comenius è ai suoi esordi e l’ansia è tanta. Si fa la conta dei colleghi: un piccolo gruppo ma destinato ad allargarsi nel corso del tempo. Ci sono gli studenti di IID e le loro famiglie entusiaste, e quelli di VD, ragazzi molto in gamba. Quindi la maestra Enza, con i suoi bimbi. Già… nella V elementare c’è una bimba il cui padre è assessore. Chissà se potrà darci una mano? E come troveremo 20 famiglie che ospitino gli studenti stranieri?
Il tema è interessante: il mito di Fetonte. Gli studenti “grandi” traducono i classici e raccontano la storia ai più piccoli, che produrranno un ipertesto con i loro disegni. Nel corso delle nostre ricerche scopriamo che i Savoia amavano questo mito. Ecco una storia bellissima: un matrimonio reale nel 1750, un’opera lirica dedicata a Fetonte…
Primavera 2009.
E’ arrivato il nostro giorno, l’appuntamento che ha turbato i nostri sonni. Nell’Aula Magna sono allestiti gli stand delle nazioni partecipanti al progetto Interlegendary Dialogue: filmati, fotografie, musiche, un caotico viavai di studenti e visitatori.
Il soggiorno a Torino è un trionfo: l’assessore ci riceve in Comune, Anna ha allestito un bellissimo spettacolo al quale sono state invitati genitori e autorità, gli allievi stranieri sono ospiti di famiglie generose, Gerta e Stefano di VD, nonostante l’imminente esame di maturità, hanno organizzato tutte le attività degli studenti.
Le nostre mascotte sono però gli otto alunni turchi, più giovani degli altri, piccoli e spauriti, che hanno intenerito persino le deliziose impiegate dell’Ufficio Acquisti le quali, di straforo, abbondano con i gadget comprati per gli ospiti. Piove, infatti, e i turchi non hanno di che indossare: ricevono la divisa completa del Convitto con tanto d’impermeabile, nonostante i mugugni dell’avaro DSGA. Anche il burbero cuoco del Convitto si lancia in generosità, offrendo menù sopraffini, per far conoscere la cucina piemontese agli stranieri.
Febbraio 2010.
I pedoni che passeggiano in via Garibaldi osservano esterrefatti un’eccentrica carovana di giovani e bambini in abito settecentesco.
Percorriamo il chilometro che separa la scuola da Palazzo Madama, già travestiti per il film, in compagnia del nostro regista Artuffo, spingendo un carrello della mensa carico di materiali stravaganti per girare le scene: ci sono anche un violino e un monopattino.
La Reggia di Venaria ha fornito i costumi, che sono stati trasportati dall’unico collaboratore scolastico autorizzato a guidare l’auto del Convitto; Palazzo Madama ha concesso l’uso delle sale per l’ambientazione del film; la collega Anna ha cooptato un amico regista.
Ragazzi e bambini s’impegnano, recitano la loro parte, s’impappinano, ripetono, ridono, suonano, danzano, si divertono … Alla fine il corto è pronto. Sarà presentato all’incontro finale in Turchia.
Primavera 2010.
Viaggiamo sull’altopiano anatolico, su una strada sterrata costellata di buche, diretti ai confini d’Europa. Una natura primordiale e un cielo da presepe, in lontananza le tende dei pastori e le montagne innevate.
Poi posti di blocco e scambi di sigarette con i soldati.
Infine il minibus bianco entra tra basse case malandate fino ad un cortile dove ragazzini malvestiti giocano nel fango, sporcando i loro grembiuli blu.
Nell’atrio ci attendono studenti e giovani insegnanti che ci accolgono festanti e chiassosi. Il primo impatto è una danza curda che ci coinvolge, rompendo ogni resistenza.
Ci attenderà un’esperienza indimenticabile, che gli studenti italiani sono pronti a cogliere, avidi e curiosi, in ogni aspetto. Con orgoglio mi rendo conto che, in questo, i miei allievi sono superiori rispetto agli altri ospiti francesi, tedeschi e portoghesi. Ragazzi e ragazze italiani si adattano all’ospitalità in case povere, siedono per terra intorno a un basso tavolino per cogliere con le mani il cibo locale da un piatto comune, tentano di comunicare imparando qualche parola di turco o di curdo, s’interessano alla cultura e alle tradizioni locali, si commuovono osservando le scarpe rotte della maggior parte dei bambini.
In aereo, sulla via del ritorno, programmiamo la festa.
Inviteremo tutti quelli che ci hanno aiutato: gli allievi del Liceo e della scuola elementare, i genitori, il preside, i colleghi, gli impiegati delle segreterie scolastiche, il nostro amato cuoco, le signore dell’Ufficio Acquisti, i collaboratori scolastici, l’assessore, le gentili funzionarie della Reggia di Venaria e di Palazzo Madama, il nostro regista, e chissà che non ci scappi anche un giornalista! Sarà l’occasione per leggere a tutti le nostre riflessioni e, soprattutto, per annunciare la fondazione di un’associazione no profit per la cooperazione con scuole disagiate della Turchia.
Quanto cammino in tre anni! Abbiamo imparato a lavorare in modo diverso, rinnovando i nostri metodi d’insegnamento e operando in sinergia con gli uffici amministrativi. Abbiamo scoperto insieme le enormi risorse dell’Istituto e del Territorio.
Il POF s’è arricchito di una didattica in chiave europea: altri colleghi hanno voluto cimentarsi con i Comenius e con il programma M.I.A.
Ma abbiamo affrontato anche grandi difficoltà: lo scontro con chi non condivide e, soprattutto, l’ostacolo enorme della burocrazia, dei mille laccioli che t’impediscono di lavorare anche quando c’è la disponibilità personale.
E qualche volta, di ritorno dall’estero, ci ha colto un pizzico d’amarezza, dopo esserci confrontati con una diversa operatività, con procedure snelle ed efficaci, e dopo aver sperimentato un modo diverso di concepire la figura dell’insegnante, non solo un dipendente pubblico ma un professionista degno, autonomo, riconosciuto.
a cura dei “Vincitori”