Immagina che Internet, quello che usi per scaricare le versioni di greco (già tradotte, ovviamente!), informarti e fare ricerche, scaricare musica, metterti in contatto con persone lontane, vedere films e connetterti a Facebook, immagina che diventi improvvisamente autonomo. Che sviluppi una coscienza indipendente, estranea a quella umana e che invada il tessuto della comunicazione elettronica di tutto il pianeta, una sorta d’individualità, una personale consapevolezza del proprio essere che permetta d’affermare: “Cogito ergo sum” e che possa, in quanto macchina, raddoppiare le sue prestazioni dei suoi processori ogni diciotto mesi, secondo la prima legge di Gordon Moore.
No, no: malgrado ce ne sia abbastanza per un best-seller, non è la trama d’un libro di Asimov o di Gibson. È l’ipotesi su cui informatici di fama mondiale, esperti di computing, psicologi e chiunque sia in grado di redigere programmi di ricerca stanno febbrilmente ragionando notte e giorno, con la pelle d’oca, negli ultimi anni. E se il Convitto Umberto Primo nasconde nei meandri dei suoi corridoi meningi particolarmente fini, che dette meningi saltino fuori: se hai presente Terminator, potrebbero sventare l’attacco di una nuova Skynet (l’intelligenza artificiale che conquista il pianeta). Tant’è che ormai il sito in cui si può sottoscrivere la proprio adesione ha già fatto il giro del mondo: http://www.kk.org/thetechnium/sii.php.
Autore di tutto questo è lo scrittore l’americano Kevin Kelly, il cui libro è tra l’altro uscito in Italia nel 2011 con il titolo “Quello che vuole la tecnologia”, Codice Edizioni. “La complessità totale delle sinapsi e dei transistor neurali nel complesso del Web sarebbe già pari alla complessità di quella del cervello umano” ha affermato Kelly. “Ma ricordiamo che, se è vero che Internet è una colossale macchina collegata in rete articolata in apparenza sulla struttura del cervello umano, ciò non implica per forza che sia dotata di intelligenza.” In poche parole, Internet potrebbe avere, in quanto coscienza, le proprietà di un megatostapane elettrico. In fondo, “tendiamo a descrivere una certa intelligenza animale nella misura in cui essa è simile a quella dell’uomo. Ma il Web non ha la necessità di riprodursi o lottare per acquistare risorse energetiche come le specie animali. Per quanto ne sappiamo, un Internet intelligente potrebbe magari aspirare ad essere spenta, o del tutto indifferente al concetto di fine” conclude Kelly. Ma è anche vero che l’intelligenza prevede numerosi elementi, quali – ad esempio – memoria e previsione. E questi in Rete ci sono già. Google anticipa i nostri termini di ricerca già nel momento in cui li digitiamo, ed intervistando alcuni dipendenti di Facebook, il giornalista Byron Acohido, del quotidiano USA Today, ha scoperto come Facebook ti controlla. Si, hai capito. Ti spia. Infatti, quando ti iscrivi la prima volta che lo visiti, vengono inseriti dei cookie nel browser, che tracciano tutte le tue visite sui siti web che utilizzano il bottone “Mi piace” di Facebook. Si conserva così memoria tutto ciò che hai fatto negli ultimi 90 giorni di attività e vengono registrati nome, indirizzo email, amici ed altri dati presenti nel tuo profilo. Facebook sa chi sei, cosa vuoi, cosa fai, dove sei e chi frequenti.
Ora rimettiti a posto la mascella, grazie. E ti ci sei iscritto tu, a Facebook, no? Quindi non è di certo un caso se Manuel Castells, sociologo e docente spagnolo dell’università di Berkeley in California, nel 2002 immaginò Galassia Internet in che qualcuno avrebbe potuto dire : “Perché non mi lasciate solo? Non voglio far parte della vostra Internet, della vostra civiltà tecnologica, o della vostra società in rete! Voglio solo vivere la mia vita!” non è di certo un caso. E se Internet, Social network e New Media fanno del ventunesimo secolo uno dei più fecondi per la comunicazione umana, è proprio su questo che si basa la polemica mossa da molti nei confronti della nostra epoca. “Dove inizia il nostro potere di connessione inizia il pericolo sulla nostra libertà individuale.” Scrive infatti il critico letterario belga e professore dell’università di Toronto Derrick de Kerckhove. A tale proposito è d’obbligo citare inoltre il sociologo canadese Marshall McLuhan, il quale afferma che se i caratteri mobili di Gutenberg del 1442 hanno rappresentato la definitiva separazione tra individuo e comunità, privilegiando il senso della vista a discapito dell’udito e alienando l’uomo dalla tribù, ora con Internet avviene il processo esattamente opposto: si ritorna alla cultura tribale, che unifica il sistema nervoso dell’intera umanità in un tutto omogeneo ed uniforme.
Forse però ci sono anche effetti positivi, come fa notare il professore dell’università di Harvard Yochai Benkler. “Sulla rete ci sono un sacco di sciocchezze (…) Ma questo ci insegna ad essere scettici, a cercare riferimenti incrociati e più in generale a trovare da soli ciò che ci serve.”
Non possiamo tuttavia negarlo. Sarebbe prenderci in giro. Il mondo urla. Strepita. Fa un baccano infernale. Riversa costantemente sulle nostre coscienze frastornate onde inesauribili di emozioni, di pensieri, di storie, di idee. Si insinua il sospetto che il comunicare, connaturato alla natura umana, si stia trasformando in qualcosa di diverso: in urgenza, affanno, in un luogo dove le voci più flebili si perdono come sospiri in una globale cacofonia assordante. Nella quale – tra l’altro – i social Network rivestono un ruolo primario. Forse hai visto “Social Network”, film del 2010 diretto da David Fincher e vincitore di quattro Golden Globe e di tre Oscar, che si propone come ricostruzione della tumultuosa vicenda di Facebook, dalla sua nascita nel 2004 sino alla causa da seicento milioni di dollari indetta contro il suo fondatore, Mark Zuckerberg, studente all’università di Harvard, accusato di plagio circa lo stesso Facebook.
Ora, fai mente locale. Si spera che avrai notato una cosa. Una cosa fondamentale, essenziale, così semplice eppure così significativa. No?
Ebbene, ricorda che Facebook è uno dei mezzi di comunicazione più potenti al mondo con 850 milioni (850 milioni!) d’utenti attivi. E che Zuckerberg era un ragazzo con gravi problemi relazionali, incapace di intraprendere un rapporto duraturo che fosse uno con i suoi coetanei.
Immagina.
Ci deve essere qualcosa che non va.
Sara Schiara (3B)