These are a few of my favourite things

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Pensare troppo, la noia e la mancanza di cose da fare fanno male agli exchange students.
Già, perché appena siamo soli nella nostra cameretta fredda, davanti ad un essay che non riusciamo a finire di scrivere, parlando ai nostri amici su Facebook nel frattempo, non possiamo fare a meno di pensare alla nostra cara casetta in Italia e di conseguenza alle cose che ci mancano di più. E non mi riferisco esclusivamente alle solite cose quali famiglia, amici, buon cibo, uscite serali.
Mi riferisco alle cose astratte che, quando si fa la domanda per andare all’estero, nessuno dice che ti mancheranno. Cose come l’andare in centro il sabato pomeriggio; l’esistenza di un servizio di trasporti pubblici che funzioni piuttosto bene (non dimentichiamoci dei proverbiali ritardi italiani); posti come bar, parchi, piazze dove trovare un po’ di relax dal tran-tran quotidiano; anche solo qualcosa da fare con gli amici, che non sia andare a mangiare in un fast food. Prendiamoci un momento per spiegare questi quattro punti.
Riguardo all’andare in centro, una premessa è d’obbligo. Per chi non sia mai stato negli Stati Uniti questo sarà forse un po’ difficile da visualizzare, ma vi assicuro che per gli Americani è ugualmente arduo immaginare una città fatta solo da appartamenti, come le conosciamo noi. Mi spiego meglio.
Qualsiasi città americana, eccetto forse le immense metropoli come New York, Los Angeles e San Francisco, è divisa in due sezioni. C’è downtown, che include il cosiddetto ghetto (da leggere con un pizzico di accento americano, gheddo), dove sono situati uffici, teatri, qualche hotel e soprattutto centinaia di edifici malandati e cadenti a pezzi, dove vivono migliaia di Americani che non si possono permettere una casa per la loro famiglia. Principalmente Afro-Americani, con vestiti rotti e sporchi, molto probabilmente senza un lavoro e sotto sussidio del governo.
Allo stesso modo, quasi in un mondo parallelo, ci sono i vari neighborhoods, che in un certo senso costituiscono la città vera e propria. Villette a schiera o immense ville una di fianco all’altra, questi sono gli elementi di tale cultura che gli Americani adorano mettere in mostra. Queste case sono quelle che si illuminano magnificamente per il periodo natalizio, che si vedono nei film, nelle serie televisive. Con il loro attico, il basement sotterraneo, il porticato e il front and back yard, queste sono una delle cose che più rappresentano la cultura e lo stile di vita americano.
Da ciò si capisce bene, quindi, cosa porti noi italiani a pensare con nostalgia al centro città. A quel posto della via o piazza principale dove ci si incontra sempre con gli amici, a quel negozio dove si fa un salto quando non si ha niente da fare e la giornata è troppo bella per stare in casa. Se negli Stati Uniti vi venisse mai in mente di andare a fare un giro in città, prima di tutto vi annoiereste dopo tre minuti di cammino, e successivamente sareste soggetti ad un’alta probabilità di essere derubati e minacciati con una pistola. Non proprio una bella esperienza, meglio starsene a casa.
A questa situazione spiacevole si collega il terrificante servizio di trasporti pubblici americano. E se a parlare siamo noi Italiani, abituati a ritardi improponibili di Trenitalia e autobus che non passano mai, significa che la situazione è tragica. Il servizio ferroviario esiste quasi esclusivamente per il trasporto di merci, e i pochi treni adibiti al transito di persone sono praticamente vuoti, essendo rari, sporchi, cari, lenti ed eccezionalmente inaffidabili. Stesso discorso per gli autobus, per non parlare dell’inesistenza di una metropolitana, eccezion fatta per le grandi città.
Da questi due fattori si sviluppa la dipendenza americana per la macchina. La patente si prende a sedici anni non perché non ci si può sfogare sugli alcolici fino a ventuno, ma proprio per l’impossibilità dei teenagers di avere un mezzo di trasporto che funzioni meglio di qualunque altro. (E forse anche perché i genitori dopo un po’ si stufano di scarrozzare i propri figli ovunque.) E d’altronde chi può dire niente? Perché un lavoratore dovrebbe impiegarci quasi un’ora per arrivare al lavoro – includendo l’aspettare il bus, il viaggio e il cammino fino al posto di lavoro – quando può semplicemente sedersi in macchina e arrivare a destinazione dopo un quarto d’ora, fresco e riposato?
A tutto ciò si aggiunge la mancanza di un posto di ritrovo dove potersi rilassare, che non sia casa di qualcuno, il centro commerciale o un fast food. Quante volte noi Torinesi ci siamo dati appuntamento al Valentino per goderci gli ultimi giorni d’estate? Quante volte gli studenti del Convitto si sono trovati al mitico Bar Roma a giocare a carte, bere un caffé, fumare una sigaretta? Troppe, questa è la verità.
Quindi non sono solo le solite cose – amici, famiglia, cibo – che mancano maggiormente nella vita di un exchange student, ma anche questi piccoli particolari di cui ci si accorge solo una volta che non li si ha più.
Ad una prima impressione gli Stati Uniti sembrano la terra da stereotipo dove bisogna assolutamente vivere e, in un certo senso, lo sono, ma siamo davvero sicuri di non preferire invece la cara, vecchia Europa?

Matilde Revelli,  Corrispondente dagli Stati Uniti

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