Italiano, futuro patrimonio dell’UNESCO?

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ABBREVIAZIONI: licenze concesse o impoverimenti linguistici?

In un articolo apparso sul “Corriere della Sera” il 26/09/2002 il cosiddetto “fattore K” veniva già duramente attaccato ben otto anni fa. Per “fattore K” si intende non solo l’espediente “telefonistico” per cui “ch” viene abbreviato in “k”, ma si intendono anche tutti i troncamenti e tutte le modificazioni atte a farci risparmiare i 15 centesimi del messaggio successivo. E così troviamo “pò” al posto di “po’” (errore che fin dalle elementari ci insegnano a non fare), un freddo “TVB” al posto di un più affettuoso “Ti Voglio Bene”. Quest’uso è mutuato dall’ormai desueta scrittura di lettere a mano e dall’antica cultura latina (“V.” era “Vale”, “B.V.” “Bene Vale”, gli equivalenti dell’odierno “stammi bene”)? È possibile, ma mai ad Orazio, Manzoni o Leopardi sarebbe venuto in mente di abbreviare parole all’interno dei propri scritti, a maggior ragione con formule grammaticalmente sbagliate. Invece, come viene riportato nel suddetto articolo, ora i giovani iniziano ad usare le abbreviazioni anche nei propri scritti, come compiti in classe, diari personali e documenti.

In realtà, problemi analoghi non riguardano solo la gioventù, ma anche le fasce di età superiore.

Le persone parlano, ma parlano male. Si tratta di un impoverimento generalizzato della lingua italiana dato, ad esempio, dalla sempre minore attenzione alla differenza tra “vecchia casa” e “casa vecchia”, portando ad ambiguità nel discorso. Inoltre, l’impoverimento della lingua è dato anche dall’ormai proverbiale morte del congiuntivo: tralasciando gli strafalcioni di veline e calciatori, Luigi Mascheroni del “Giornale”, il 22/07/09 ci fa notare in un articolo erroracci anche da parte di giornalisti come Giuliano Ferrara, che sul “Foglio” ha sbagliato tre congiuntivi in 20 righe, o come un ministro dell’istruzione che disse al TG2: “Vorrei che ne parliamo”.

La conclusione sembra una e una sola, ovvero che se anche personaggi così illustri sbagliano, il congiuntivo è ormai solo un vezzo troppo elegante e sofisticato per la nostra società. C’è una grandissima quantità di errori molto diffusi, basti pensare agli errori di accentazioni che ormai tutti giustificano con un “è accettato anche così”, oppure, come comparso nell’articolo di Francesco Alberoni del settembre 2002, si trova sempre più frequentemente “questo” al posto dei cari vecchi “il-lo-la-i-gli-le”.

L’italiano corretto, quello che papà Dante e zio Alessandro (Manzoni) hanno contribuito a creare, è quindi destinato a scomparire? Probabilmente sì, con le forti ingerenze telematiche e la progressiva avanzata britannica (Computer, OK, stop, mouse, etc…), ma finché ci sarà chi storcerà il naso con un po’ di fastidio e correggerà un VIENE in VENGA e un FA in FACCIA, forse, la lingua dello Stivale sarà salva e, anche se magari non bella universalmente, almeno completa e ricca come è sempre stata.

 

Riccardo Tione (3B)

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