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Vivendo in un mondo di continui cambiamenti, assistiamo ogni giorno ad una delle tante assurdità di questo secolo: più il mondo è in comunicazione attraverso radio, tv, internet e cellulari, peggio noi riusciamo a comunicare gli uni con gli altri. Quando ci relazioniamo con una persona abbiamo a disposizione un armamentario comunicativo particolarmente articolato ed efficace. C’è tuttavia da osservare che, paradossalmente, quello che è considerato il mezzo più evoluto di comunicazione, cioè il linguaggio, non sembra essere lo strumento più idoneo per comunicare quelle particolari informazioni che sono i sentimenti e le intenzioni più profonde. Per questo tipo di indicazioni funziona molto meglio il linguaggio del corpo, cioè quell’insieme di atteggiamenti, di posture, di movimenti, di gesti, di sguardi e di variazioni fisiologiche (rossore, pallore e sudorazione), che rivelano, soprattutto in maniera inconscia, quello che c’è davvero dietro le parole. Questa articolazione comunicativa viene purtroppo persa quando si utilizzando i moderni sistemi di comunicazione (internet, sms, chat). Non a caso si è sentita la necessità di inventare e utilizzare le “emoticon” e, in particolare gli smile, cioè faccine sorridenti o tristi, ammiccanti o imbronciate, che cercano in qualche modo di sopperire alla totale assenza del linguaggio del corpo. Come suggerisce Oscar Wilde: “If you want to tell people the truth, make them laugh (:-)) otherwise they’ll kill you”. Non è difficile immaginare come questa nuova modalità comunicativa, improvvisamente privata del frutto di milioni di anni di adattamento evolutivo abbia portato a continui fraintendimenti ed equivoci, soprattutto su sentimenti e intenzioni, che normalmente vanno oltre il significato delle parole. Per sua natura la chat non permette di esprimersi in maniera approfondita; ogni espressione deve stare in due-tre righe al massimo. Bisogna rispondere subito, non è consentita l’espressione attraverso i silenzi, niente pause e pochissimo tempo di riflessione. Se poi si chatta con più persone contemporaneamente, a ciascuno può essere riservata solo una frazione di attenzione. Tutto questo favorisce certamente la superficialità dei rapporti. Forse gli sms dei cellulari permettono, invece, comunicazioni meno superficiali; non fosse altro perché non richiedono una risposta immediata e prima di spedirli si ha tutto il tempo di cesellare le frasi, scegliere le parole, la disposizione e la punteggiatura. Tutto, però, nel tentativo di riuscire a condensare più stati d’animo possibili nei pochi caratteri che di hanno a disposizione. La comunicazione attraverso computer e telefonini, tuttavia, sta producendo un processo di regresso del linguaggio. Il bisogno ancestrale dell’uomo di comunicare in maniera efficace e con immediatezza ha dato luogo ad una evoluzione tecnologica che sembra inarrestabile. Nell’era digitale e delle nanotecnologie che avanzano, assistiamo alla globalizzazione della cultura. Le barriere tra i popoli cadono e nasce “il villaggio globale” (McLuhan). Cresce la voglia e il bisogno di essere sempre e perennemente in contatto (come racconta sulla Repubblica del 28/7/’02 Paolo, 32 anni, torinese: “Ero drogato di sms: mille al mese”). Nonostante, però la necessità di essere sempre in relazione con qualcuno non si possono del tutto sopprimere la nostra routine quotidiana e i nostri impegni; ecco, allora, che nasce il bisogno di comunicare ed esprimersi utilizzando i minor tempo possibile. Nascono così le abbreviazioni, dettate dalla mancanza di tempo, ma anche, nel caso degli sms, dal costo e dal limite imposto dei caratteri da usare. Ciò porta alla nascita di un linguaggio sintetico, che si sviluppa in vari modi. Talvolta si riassumono intere frasi con degli acronimi, scrivendo semplicemente le iniziali di ogni parola (ad esempio “ti voglio bene” diventa tvb); altre volte, invece, si scrivono solo le lettere più significative di una parola, omettendo le vocali: “con” diventa “cn”; “sono”: “sn”; “comunque”: “cmq”. Non bisogna dimenticare l’uso delle “K”. “… Sbucate prima negli sms e su internet. Ora si trovano nei compiti on classe al posto del “ch”” come riportato sul Corriere della sera del 26/9/’02, già otto anni fa. Sociologi, giornalisti e letterati hanno studiato approfonditamente questa profusione di abbreviazioni riscontrando un drammatico processo si impoverimento lessicale. Gli stessi giovani che comunicano attraverso sms e chat si sono resi conto della condizione in cui versa la grammatica italiana tanto da condividere su Facebook, celeberrimo social network, diversi post per commemorare l’ortografia italiana che ogni giorno deve confrontarsi con il sempre crescente numero di vittime. Un primo allarme del depauperamento della lingua italiana si ha, come spiega il sociologo Francesco Alberoni nella sua rubrica sul Corriere, nella sostituzione degli articoli determinativi, indeterminativi e partitivi con l’aggettivo dimostrativo “questo”. L’uso indiscriminato del termine “questo” rivela la presenza “…. di gente intellettualmente e moralmente inaridita, povera di vocabolario e senza una visione ampia del mondo. Senza profondità di pensiero, capacità di riflettere di argomentare…” ribadisce appunto l’esperto. In risposta al suo intervento, però, Ermanno Krumm afferma che “… anche i grandi scrittori in particolar modo i poeti si sono richiamati alla fisicità e alla concretezza delle cose (queste cose)…”. In sostanza ogni volta che si cerca di fissare la lingua a qualche canone immutabile, ecco che “qualcuno” immediatamente nel suo ruolo di “innovatore” proietta nuove visioni e quindi nuovi usi della lingua stessa. Dunque la colpa del degrado della lingua italiana è solo dei cellulari, della televisione e di internet? Alcuni attribuiscono questa “colpa” alla stessa grammatica italiana così piena di insidie e trabocchetti da far fare brutta figura anche a giornalisti e politici. La logica che governa la lingua non è un assioma cartesiano dal quale bisogna prescindere . Da sempre è in continua evoluzione e soggetta a contaminazioni: le nostre parole derivano dal greco a latino, dall’arabo al germanico; ogni popolo invasore ha lasciato tracce della sua presenza proprio nella lingua. Così come l’esperanto era il sogno di una lingua universale, chissà se i realizzerà un ritorno alle origini, prima della torre di Babele …

Bianca Viano (3B)

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