American Dream, anyone?

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traffic-light-performanceQuando si pensa agli Stati Uniti si pensa all’America, e quando si pensa all’America il pensiero va direttamente al Sogno Americano. Con tanto di maiuscole, perché per gli americani non è solamente un concetto astratto e senza principio né fine. Il principio risiede nei più profondi meandri della stessa cultura americana e la fine è diventare persone di successo.
Scalare la piramide della fama infatti non è così difficile come sembra, perlomeno negli Stati Uniti. E di esempi ce ne sono a bizzeffe, basta solo trovarli.
Senza andare troppo lontano, è sufficiente l’esempio di Mark Zuckerberg, amministratore delegato di Facebook e uno dei suoi cinque fondatori. Lasciato il college nel 2004 senza completare il secondo anno, è definito dalla rivista statunitense Forbes nel 2008 “il più giovane miliardario al mondo”, mentre il TIME lo ha eletto nel 2010 “Personaggio dell’anno”. Il suo patrimonio è stimato ad un totale di 9.4 miliardi di dollari.
Oppure Steve Jobs, “il più grande imprenditore dei nostri giorni” secondo la rivista americana Fortune, il quale lasciò il college dopo soli sei mesi di studi e morì due anni fa, lasciando in eredità un patrimonio equivalente a circa 10.2 miliardi di dollari.
O ancora Chris Gardner, impresario interpretato da Will Smith nel film “La Ricerca della Felicità”, che possiede beni per un valore che aleggia intorno ai 60 milioni di dollari.
Dunque è semplice vedere come anche il barbone che vive in un cassonetto nella peggiore periferia di Los Angeles, che stenta a racimolare un dollaro al giorno per pagarsi il “Dollar Menu” di Mc Donald’s, possa diventare l’uomo più ricco del mondo inventando il teletrasporto, o comunque realizzando qualcosa di grandioso grazie al suo duro lavoro e tanta fortuna. Il nessuno che diventa qualcuno.
Ma ci vuole anche fortuna?
Già, perché agli Americani non piace ammetterlo, ma nella vita il duro lavoro non è tutto. “Work hard and one day you will be successful too”, queste sono le parole ripetute dal preside agli studenti ad ogni singola assemblea. Studiate e sarete ricoperti da borse di studio, andrete al college gratis, vi diplomerete e tra dieci anni vivrete in una bellissima villa con la vostra famigliola. Sarete persone di successo, i vostri Sogni diventeranno realtà.
Sarebbe bello se funzionasse sempre.
Il vero problema con il Sogno Americano, infatti, è che funziona veramente solo negli States. Gli Americani hanno una personalità, a livello di popolazione, che si accorda perfettamente con le possibilità che ciascuno di noi ha per diventare il Mark Zuckerberg della nuova generazione.
Ricordo ancora quando, nell’agosto del 2011, mi trovai a passeggiare per le caotiche strade del centro di New York e sentii ad un certo punto della musica qualche metro più avanti. Lì, sul ciglio della strada, a tre metri (ma che dico, uno!) dai taxi gialli strombazzanti, quattro giovani afroamericani a torso nudo, con fisici spettacolari da far rimanere a bocca aperta chiunque, si esibivano in acrobazie e incredibili trucchi di giocoleria, attirando una folla intorno alle cento persone. Uno di loro andava in giro con un secchio a raccogliere offerte (anzi, convincendo gli spettatori ad aprire il portafoglio), e che offerte! Dopo un paio di giri il secchio era pieno per metà, con la gente che continuava a riempirlo con banconote da uno, cinque e dieci, e alla fine del set era colmo con un buon centinaio di dollari.
Mica male per mezz’ora di giocoleria, no?
La verità, e gente come i quattro acrobati lo sa bene, è che gli Americani apprezzano, e soprattutto riconoscono, i veri talenti.
Se per esempio si decidesse di frequentare un college per le Arti dello Spettacolo, molto rispettati negli Stati Uniti, il college stesso organizzerebbe vari spettacoli, invitando produttori e registi del mondo del teatro, con lo scopo di dare un futuro ai ragazzi che si esibiscono. Solamente una piccola parte verrebbero presi, ovviamente, ma si può essere certi che quei ragazzi avrebbero un’immensa dose di talento ed un più che discreto futuro di fronte agli occhi.
Piuttosto diverso dalla cara, vecchia Italia, dove i più furbi fanno i soldi, chi evade le tasse riesce in qualche modo a nascondersi nell’ombra e settantenni con un fetish per le minorenni siedono in Parlamento.
Diverso dalla cara Italia, dove nel 2012 l’emigrazione giovanile è aumentata del 28,3% rispetto all’anno precedente, secondo un articolo de La Repubblica del 6 aprile 2013. 78.941 uomini e donne tra i 20 e i 40 anni, che lasciano la propria patria per andare altrove a cercare fortuna, a realizzare il loro Sogno Americano, stufi di vivere sottopagati, insoddisfatti, con la costante ansia di non sapere se il prossimo mese lavoreranno ancora nello stesso post o saranno costretti a cercare altrove. Nauseati da un governo insicuro e ladro, preoccupati per il proprio futuro e quello delle loro famiglie. Desiderosi di far vedere che cosa sono in grado di fare, ansiosi di scalare la piramide del successo con l’aiuto dei loro talenti e di arrivare, se non in cima, perlomeno a metà.
E forse dopo tutto questo è anche il motivo per cui noi exchange students siamo quello che siamo. Giovani liceali che lasciano la casa, gli amici e la quotidianità, per immedesimarsi in un nuovo mondo popolato da gente nuova, esperienze nuove e una cultura diversa da quella in cui sono nati e cresciuti. Giovani pionieri, alla ricerca di opportunità per vedere se riuscirebbero a fare il grande passo e lasciarsi tutto alle spalle per costruirsi il proprio futuro in un Paese dove non conoscono nessuno.
Questo, signori miei, è il vero Sogno Americano.

Matilde Revelli (4B) – Corrispondente dagli Stati Uniti

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