Quanta paura di farsi capire. Quanta pigrizia, troppa per usare (non dico tutte) ma buona parte delle 150 000 parole di uso consolidato che la lingua italiana ci offre, senza contare i vocaboli meno comuni e gli arcaismi con i quali si arriva a quota 800.000. Sarà anche colpa della tecnologia e dei suoi spazi limitati, ma arrivare ad esprimersi con venti parole significa arrivare allo stretto indispensabile e forse neanche a quello. Venti vocaboli sufficienti ad esporre concetti base limitatissimi, la cui poesia si riduce a “Ho perso il pullman, arrivo in ritardo”. E se volessi comunicare qualcosa di più complicato? Con quel poco materiale sarebbe come cercare di riprodurre un Caravaggio con tre pennarelli scarichi (nero, marrone e grigio). Schiavi del linguaggio che noi stessi abbiamo prodotto, persino gli argomenti di conversazione si svuotano, raggiungendo il midollo della banalità.
La punteggiatura è l’altra vittima dolente di questo processo di restrizione fisica della lingua: nei messaggi le virgole sono opzionali, i punti anche (i “punto a capo” sono proprio scomparsi); per qualche strana ragione sopravvivono i tre punti di sospensione, che qualche sciagurato usa senza pietà in sostituzione di tutti gli altri segni di interpunzione, dando vita … ad un messaggio … un po’ … come dire … stentato!
Ma è sola colpa degli sms, delle chat e quant’altro? Perché a ben vedere, un conto è abbreviare un vocabolo (quando – qnd), un conto è non usarlo proprio. Del resto le abbreviazioni costituiscono un linguaggio divertente e a suo modo complesso nei meccanismi, nelle restrizioni fantasiose. La scomparsa invece delle parole nel linguaggio parlato è preoccupante, e non si tratta di un’evoluzione linguistica, perché se così fosse i vecchi lemmi sarebbero sostituiti da nuove invenzioni. E’ un impoverimento probabilmente dovuto a poca lettura, lettura scadente, programmi tv con ospiti che usano davvero solo venti vocaboli giusto per insultarsi. Poca voglia di comunicare, assenza di argomenti e pigrizia nei dibattiti, che ormai sono ring per parlare, non per ascoltare; battaglie per vincere, non per crescere. L’italiano sta soffrendo e non è la tecnologia la terribile aguzzina, siamo noi.
Eugenia Beccalli (3F)