Quando si pensa a cosa vuol dire fare il giornalista, i cliché più comuni sono domande più o meno insidiose enfatizzate dal fatto di essere su Rai Uno in prima serata, ma soprattutto titoloni e storie choc in prima pagina drammatizzate fino all’ultimo carattere. D’altra parte, il cliché del giornalista è quello dell’uomo medio con una sigaretta in bocca e un computer alla mano in un bar retrò. Eppure sono bastate un paio d’ore nella redazione de “La Stampa” a sfatare ogni mito e leggenda metropolitana.
Ma partiamo dall’inizio. Una visita al museo del giornale introduce il viaggio. Siamo nel 1867, quando Vittorio Bersezio fonda “La Gazzetta Piemontese” (in futuro La Stampa). Un giornale, nel tempo, amichevolmente ribattezzato dai torinesi “la busiarda”, grazie alla pessima reputazione raggiunta negli anni del regime, quando il quotidiano era attivamente filofascista. Ancora non può immaginare, il caro Bersezio, di aver fondato ciò che diventerà, 150 anni dopo, il quarto giornale più letto su scala nazionale. Firme che hanno fatto la storia del giornalismo hanno scritto sulle sue pagine. Collaboratori d’eccezione l’hanno reso grande. Da Igor Man a Enzo Biagi, da Mario Soldati a Primo Levi. Ma anche da un inimmaginabile giovane Mike Bongiorno, a fare il galoppino per i giornalisti più quotati.
Segue una fin troppo breve visita alla redazione vera e propria. Ed è qua che l’entusiasmo raggiunge il suo apice: i giornali che vediamo nelle edicole alle ore più impossibili della mattina, vengono scritti da bevitori assidui di caffè in un’elegante redazione concentrica e ipertecnologica. Nonostante il dispiacere iniziale dovuto al non aver visto il famoso e acclamato Gramellini, si può dire che anche assistere ai momenti precedenti alla chiusura della prima pagina sia esaltante.
Ci si sposta poi alle famose rotative, per intenderci, dove il giornale viene fisicamente stampato. Un insieme di profumo di carta e inchiostro inonda l’aria, e non si può far altro che inalare quel ben di dio. E qua il viaggio finisce. Un professore munito di penna rossa traccerebbe un bel 10 e lode.
Chissà se sia stato un bene o un male sfatare quei miti così ricorrenti. Si sa, a volte è meglio vivere nella propria illusione. Ma sicuramente non è questo il caso. La realtà scoperta è un luogo affascinante e interessante dove un incessante battere di tastiere fa da sottofondo. Un luogo dove i giornalisti non solo raccontano le storie, ma le fanno proprie. Un luogo dove si contribuisce a far rispettare i diritti di tutti. Un luogo dove le persone sono accomunate da un senso di appartenenza, e esaltate dal motto “fragar, non flectar” – ovvero “mi spezzo, ma non mi piego”; si sa che il giornalista deve essere in grado di sostenere le proprie idee e soprattutto non deve, appunto, piegarsi di fronte alle difficoltà. Un luogo che è amico, ma anche nemico. Lì, vicino agli schermi che trasmettono interviste o partite dei più svariati sport, lì si fa l’informazione. E questa regna sovrana.
Ginevra Galliano (3B)