Sono 50 anni che la Turchia vuole e tenta di entrare nell’Unione Europea e sembra che a breve, anche per la sua rilevanza nella questione “migranti”, ci riuscirà. Ma è davvero il momento giusto? Ha i requisiti necessari per unirsi agli altri 28 paesi?
Obbligatoria, però, una premessa. Quando si critica uno stato, si parla essenzialmente della sua classe dirigente e delle sue leggi e non certamente dei suoi cittadini. Ciò che impedisce questo “felice e necessario” connubio, come è stato definito dallo stesso Presidente Turco, non è la cultura e tanto meno i costumi. Si tratta di questioni notevolmente più spinose che riguardano essenzialmente il rispetto dei diritti umani e civili.
Come è possibile che un aspirante membro dell’UE ignori direttive votate ed emanate dall’europarlamento? Eppure è successo. In seguito alla proclamazione della Giornata Mondiale per il ricordo del genocidio del popolo curdo che, nella moderna Turchia, non riesce a trovare uno spazio, il presidente Erdogan ha dichiarato:«qualunque decisione presa dal Parlamento europeo mi entra da un orecchio e mi esce dall’altro.» Se le premesse sono queste, è impossibile instaurare un rapporto basato sulla reciproca fiducia. Si potrebbe anche discutere dei principi su cui si regge oggi l’Europa, ma per il momento è meglio attenersi all’ideale, piuttosto che al reale. La parola Unione definisce, appunto, una realtà unitaria dove gli interessi e le radici culturali comuni vengono premessi a quelli nazionali. Il continuo rimpallo di responsabilità tra i paesi che costituiscono il “confine” e gli stati centrali è un fattore di indebolimento; per questo non sarebbe saggio inserire in un organismo così delicato un elemento inaffidabile.
Gli scettici sottolineano anche come la salvaguardia dei diritti in Turchia sia ancora insufficiente per poter consentire la formazione di legami più forti dei semplici trattati commerciali che tutt’ora regolano gli scambi tra il vecchio continente e il medio oriente. Secondo una recente ricerca infatti, ancora una volta il Paese della Mezzaluna risulta ben al di sotto dei parametri richiesti. ”I dati statistici riguardanti le violazioni della Convenzione europea dei diritti umani, firmata da 47 paesi, vedono la Turchia ancora agli stessi livelli del 2009, con una percentuale del 18,55% su tutte le violazioni riscontrate dal Tribunale, seguita dalla Russia con il 14,48% e Romania con il 9,54%.
La violazione più frequente della Turchia è quella dell’articolo 6 della Convenzione che riguarda il diritto a un giusto processo (42 casi di violazione) e le lunghe procedure (83 casi). L’articolo 5, quello riguardante la libertà e la sicurezza, è stato il secondo articolo su cui la Turchia ha compiuto più violazioni.”Quest’insensibilità alle libertà che l’ Europa professa come democratica premessa della sua stessa esistenza sono ancora molto deboli. Basta ricordare la repressione alquanto violenta delle proteste di piazza Taksim, durante le quali sono stati uccisi e feriti numerosi manifestanti sotto gli occhi attoniti del mondo. Grazie alla diffusione mediatica degli abusi delle forze dell’ordine, le condanne non si sono fatte attendere e la Commissione Europea è riuscita, almeno una volta, a far sentire la propria voce.
La libertà di stampa non viene meno calpestata. Pochi mesi fa, la polizia ha fatto irruzione nella redazione diel giornale “Cumhuriyet”, che appartiene ad un oppositore di Erdogan, un musulmano moderato. Adesso molti giornalisti sono inquisiti e rischiano da quattro anni di reclusione, per aver criticato l’operato del Presidente. Si profila addirittura l’ergastolo per Erdem Gul, a capo della redazione di Ankara e per Can Dundar, direttore del quotidiano ed intellettuale.
La loro colpa? Aver pubblicato degli scoop, delle foto di camion carichi di armi diretti verso il confine con la Siria. Non hanno avuto paura di criticare Ergogan e di chiedersi a chi fossero destinate quelle armi. Hanno pagato un prezzo inaccettabile solo per aver esercitato un sacrosanto diritto. La stampa gioca un ruolo fondamentale proprio perché è il “cane che difende la democrazia”. Non possiamo accettare di soffocarne i guaiti solo per delegare ad altri l’accoglienza dei rifugiati siriani.
Non ci si può permettere di pensare solo ai benefici a breve termine che deriverebbero dall’ingresso della Turchia a pieno titolo in Europa. I benefici economici non possono schiacciare i principi etici.
La Turchia deve ancora aspettare.
Beatrice Cagliero (4B)