Nel giorno di chiusura del Torino Film Festival, prima della consegna del premio “Gli occhiali di Gandhi”, gli inviati dell’UmberTimes, sabato 26 novembre, nella Sala Poli di Via Garibaldi 13, hanno avuto un’opportunità unica: intervistare Maurizio Nichetti. Il famoso regista, produttore cinematografico e attore italiano, autore di “Volere Volare” e “Ratataplan” fra gli altri titoli, è stato disponibilissimo a rispondere alle nostre domande e, in modo molto amichevole, ci ha raccontato della sua carriera come produttore, ma anche della sua passione per il cinema.
1) Come crede che sia cambiato il cinema dagli anni 80, ad oggi?
E’ cambiato tantissimo; è cambiato il pubblico, il mondo; è cambiato tutto, per cui non è cambiato solo il cinema. Sono cambiate le tecnologie, sono i linguaggi, i gusti, le mode, il tipo di storia che si può raccontare e il tipo di storia che raccontano altri mezzi di comunicazione, che negli anni ottanta non c’erano.
2) Si è sempre ispirato a Charlie Chaplin e Jaques Tati. Al giorno d’oggi c’è qualche artista che ammira in particolar modo?
Mi sono sempre ispirato a chi ha fatto il cinema con maggiore attenzione per le immagini, piuttosto che per i dialoghi, per cui Tati era un autore che si esprimeva attraverso la mimica, attraverso la situazione. “Volere volare” è un film parlato, però molto visivo. Ci sono tante cose che succedono, per cui io credo che tutti quelli che hanno usato il cinema in questo modo mi sono sempre piaciuti, ma penso a Ferreri o a Fellini, non solo a chi ha fatto film muti, ecco.
3) Ha studiato allo scientifico e si è laureato in architettura, pero ha sempre lavorato nel mondo del cinema. Qual era il suo sogno da bambino?
Io da bambino, forse non l’ho mai dichiarato per davvero, ma ero affascinato dal mondo dello spettacolo. Non ho mai detto “voglio far l’attore, voglio fare il regista”, non ho mai osato pensare di farlo, anzi, mi sembrava un po’ un sogno impossibile, però, proprio perchè ero curioso, ho cominciato facendo, per esempio, dei piccoli doppiaggi per la pubblicità a Milano. Facevo i brusii dei caroselli e facendoli frequentavo gli studi di registrazione, vedevo dietro le quinte nella televisione, e lì ho cominciato a imparare. A furia di bazzicare dietro le quinte, mi sono ritrovato davanti alla macchina da presa.
4) Come è arrivato all’idea di fare cinema?
Stando sempre molto curioso nei posti dove si faceva spettacolo. Ho cominciato col teatro, poi ho fatto teatro lirico, facevo il mimo nelle opere alla Scala di Milano, lavoravo in un piccolo teatro, poi ho lavorato nei cartoni animati e nella pubblicità. Ho lavorato sempre perchè mi incuriosiva approfondire linguaggi diversi, così quando ho fatto un film, poi, mi sono tornati utili. Ho fatto un film con delle gag da cartone animato, però era muto come i miei film preferiti delle comiche mute, allo stesso tempo, però, avevo un contenuto perchè facevo architettura, avevo vissuto gli anni della contestazione, del movimento studentesco, per cui nel ’79 volevo raccontare il problema della disoccupazione giovanile che, purtroppo, è attuale anche oggi, per cui i giovani sono sempre stati un po’ precari. “Ratataplan” parlava di questo; una commedia, ma per parlare anche di problemi molto spesso seri.
5) Qual è la cosa più bella che un regista o attore possa fare per il suo pubblico?
Intanto è farlo andare via sereno e rilassato. Fargli passare un’ora e mezza, fargli dimenticare i suoi problemi e magari dargli qualche piccola chiave, qualche piccola riflessione per poterli risolvere. Io non amo quei film attesi che ti vogliono per forza far soffrire, far piangere, colpevolizzare o renderti per forza un intellettuale che si riconosce in un contenuto. A me piace l’idea che tu entri in una sala, si spegne la luce e per un’ora e mezza dimentichi i tuoi problemi o li ritrovi riproposti in un modo più leggero, fantasioso, spettacolare. Io vado al cinema, prima di tutto, per divertirmi. Se poi questo divertimento mi fa fare anche una riflessione che mi serve nei miei problemi di tutti i giorni, meglio ancora.
6) Milano è sempre stata protagonista di moltissimi dei suoi film. Se fosse vissuto all’estero, quale città pensa sarebbe diventata la sua “Milano”?
Mah, non lo so. Milano non me la sono scelta; ci sono nato, ci abito, ci abitavo, ci son sempre abitato. Non mi sono mai spostato. Ti posso dire che andando in giro per il mondo e vedendo le città di tutto il mondo, una città dove mi sono trovato molto bene è stata Barcellona, perchè è una città del nord della Spagna attiva e produttiva come Milano, in una regione, che è la Catalogna, molto attiva e concreta, ma allo stesso tempo è una città sul mare, molto giocosa, un po’ come Napoli in Italia, per cui a Barcellona ho trovato Milano e Napoli messe nello stesso tessuto umano. Allora ho pensato che mi sarebbe piaciuto vivere lì, perchè mi riconoscevo come milanese in una città seria e imprenditrice, però uscivo, potevo anche andare a mangiare il pesce nelle ramblas vicino al mare.
7) Il digitale ha ormai preso il sopravvento ed è essenziale per produrre audiovisivo. Crede che nel 2016 sia difficile produrre arte senza la tecnologia?
E’ quasi impossibile. Voi siete qui con una macchina fotografica, con un telefonino e state facendo un’intervista. Quindici anni fa, per fare la stessa cosa, dovevate essere in sette o otto, avere un macchinista, i cavalletti, le luci, il microfonista, il truccatore, per cui oggi, diciamo, con la tecnologia, si è semplificato tutto. Quello che vedo più pericoloso, proprio perchè lo possono fare tutti con un telefonino, è ignorare quelle che sono delle piccole regole e modalità che ti servono per fare delle cose migliori. Parlo naturalmente del cinema di finzione; le interviste si sono sempre fatte e meno male che oggi si possono fare con mezzi più agili.
8) E’ anche docente allo IULM di Milano. Com’è la sua routine giornaliera?
Il lunedì mattina ho il laboratorio allo IULM e tutti gli altri giorni dirigo il Centro Sperimentale di Cinematografia a Milano, per cui la costante è che sono sempre in mezzo ai ragazzi, sempre in mezzo a delle generazioni piene di entusiasmo e piene di energia. Spero di riuscire a trasmetter loro l’entusiasmo e l’energia che ancora mi sento, ma me lo sento, non per fare altri film, ma per aiutare i giovani a realizzare dei sogni che hanno tutti i diritti di poter realizzare. Non credo che se nella mia vita farò un altro film, o altri due o tre film, mi cambierà molto. Ne ho fatti dieci, ho fatto i film che volevo, nel periodo in cui ero contento di farli ed interpretarli. Oggi sono contento di insegnare quella che è la mia esperienza, se può essere utile alla generazione nuova, mi fa felice.
9) Quali sono le sue opinioni riguardo al Torino Film Festival, ormai giunto alla 34° edizione?
Mi fa un po’ d’invidia perchè chiaramente quando vieni a Torino ci sono sempre opere prime e seconde, film nuovi, ragazzi che aspirano ad un futuro cinematografico, per cui è sempre stata una sede di grande entusiasmo e di grande energie per il futuro. Fa un po’ invidia perchè ha trentaquattro anni, il mio primo film ne ha trentasette, per cui quando io ho fatto la mia opera prima, seconda e terza, il Torino Film Festival non c’era ancora, allora non potevo essere invitato nella rassegna. Dopo non sono stato invitato perchè dopo che hai fatto il primo, secondo e terzo film, non sei più nel target dei giovani autori. Ecco, l’unico rimpianto è che non sia cominciato sei anni prima e io, se fossi potuto venire qui con i miei primi film, sarei stato molto contento.
10) Qual è l’ultimo film che ha visto al cinema e cosa le ha trasmesso?
Io vado molto spesso al cinema; ultimamente, però, proprio in quest’ultimo periodo un po’ meno per motivi di lavoro e personali; manco da un po’. Ma, per esempio, un film che mi ha emozionato – io li vedo un po’ tutti, vedo i grandi film americani, i film fantasy, gli effetti speciali – per cui, come mi piace un cinema di spettacolo, non vado a vedere delle piccole storie che parlano di gente che sta morendo o di gente che non si sente molto bene, quelle cose lì le trovo già purtroppo nella vita e vado al cinema per evadere un po’ da questa problematica. Un piccolo film francesce che mi è piaciuto molto nell’ultima stagione è stato “Il condominio dei cuori infranti”, che era un brutto titolo italiano e che quasi quasi mi faceva scappare, perchè un condominio dei cuori infranti mi sembrava una fiction televisiva. Invece è un film di fantasia con delle invenzioni molto belle e che parla di una coabitazione multiculturale in una periferia di Parigi. E’ film di pace e coabitazione molto più importante di tante altre opere didascaliche che francamente mi annoiano, per cui, se per caso lo trovate in rete o su youtube, o lo potete scaricare, provate a guardarlo. Con pazienza, non è un film frenetico; è un film che bisogna vedere, cercare di seguire, che racconta tre coppie, all’interno di un condominio, ma dire che sono tre storie d’amore è riduttivo, perchè anche “Volere Volare” è una storia d’amore, però è la storia tra una donna e un cartone animato, è chiaro che è tutto diverso. Qui c’è la storia, per esempio una delle tre, è tra una anziana algerina che abita all’ultimo piano di questo stabile e un astronauta americano che cade sul tetto della casa. Voi capite bene che siamo nel campo del fantastico, però un fantastico che parla delle periferie di Parigi, delle differenze culturali, delle differenze religiose ed è, secondo me, un modo molto intelligente di parlare di oggi con un sorriso.
Niccolò Bertello (1L)
Claudia Brizzi (5E)