La Dreamworks si è messa in diretta competizione con la Pixar creando una storia che si avvicina molto alla trama di Inside Out. Da un lato affronta le paure dei bambini, come quella di essere destituiti da un fratellino, la paura di volare, di non farcela, di togliere le rotelle alla bicicletta; dall’altro narra dal punto di vista del protagonista che vede e modifica la realtà in base ai suoi sentimenti con l’aiuto della sua vivida immaginazione.
Tim è un bambino felice e spensierato: ha sette anni e i sui genitori lo amano, tutto va a gonfie vele. Almeno finché non arriva il nuovo fratellino, che ruba tutte le attenzioni e l’affetto dei genitori, che trascurano sempre di più Tim. L’ultimo arrivato, però, non è un bambino comune: si presenta come un manager vestito tutto di nero e con in mano sempre una ventiquattr’ore. Un vero e proprio boss, un adulto travestito da bebè. Sarà lo stesso Baby Boss a rivelare i suoi piani a Tim: salvare la società per cui lavora – la Baby Corp – che rileva quanto affetto è dedicato ai bambini. La missione, di cui i genitori di Tim sono all’oscuro, è quella di contrapporsi al trend che sta rubando l’attenzione di potenziali genitori per dirottarla verso altre creature irresistibili: i cuccioli di cane. Solo se la missione riuscirà, Baby Boss potrà ottenere una promozione, e lasciare così la famiglia Templeton, quindi rendendo di nuovo Tim il bambino felice e amato di prima. Da questo presupposto i due fratellini capiranno di volersi bene, di aver bisogno l’uno dell’altro e, soprattutto, che il bene dei genitori è infinito ed equamente distribuito.
La storia di McGrath (regista di Madagascar e Megamind) racconta con ilarità e leggerezza la strana gelosia che colpisce il fratello maggiore quando giunge l’intruso, il neonato. Inevitabilmente le abitudini cambiano, si frantumano schemi affettivi all’ombra del timore di non essere più amati. La fantasia di Tim lo porta a esagerare drammaticamente l’evento: il bebè, come ogni neonato, è capriccioso e impegnativo e ai suoi occhi appare come un boss subdolo e vendicativo. Con Baby Boss si ride tanto, tornando per un attimo bambini. Ma si riflette sulla frustrazione della condivisione dei sentimenti, una possibilità immanente. Quale fratello o sorella maggiore non ha tremato di fronte a un nuovo ospite permanente in casa? Un mistero con cui si impara a convivere, sebbene l’ego prediliga la “solitudine” di sempre.
In fondo, all’inizio, ogni fratello o sorella è un po’ uno sconosciuto con cui bisogna prendere le misure, un dono non richiesto, un altro che porta lo stesso cognome, ma che comunque è in qualche modo diverso da noi. Solo la frequentazione quotidiana, attraverso la condivisione dei momenti belli e di quelli brutti, farà di un fratello, pian piano, non più un estraneo ma un complice, una spalla, uno degli affetti più grandi della vita. Fratelli si diventa, insomma, ma solo dopo aver superato le prove di rito. E più grande è l’avventura, più forte e il legame che nasce, e che cresce.
Cecilia Achino