L’obsolescenza programmata è una strategia industriale volta a definire il ciclo vitale di un prodotto in modo da limitarne la durata a un periodo prefissato.
Questa pratica non è una novità per le grandi aziende: nel 1924 venne introdotta dal Cartello Phobeus, la lobby occidentale delle lampadine, e Bernard London otto anni dopo propose che fosse imposta per legge al fine di rilanciare l’economia statunitense.
L’invenzione del nylon, avvenuta negli anni ’30 da parte dei chimici della DuPont, causò un’ingente perdita economica alla stessa azienda, perché la nuova fibra, troppo resistente, riduceva il bisogno dei consumatori di comprare nuovi prodotti. Il provvedimento preso fu quello di indebolire la struttura chimica del nylon, cosicché la massa dei consumatori ricominciasse ad acquistare.
La pratica dell’obsolescenza pianificata, che prevede l’uso di materiali scadenti o facilmente deteriorabili, raggiunge il suo culmine quando si arriva ad inserire dei veri e propri congegni elettronici ad hoc per essere sicuri che il prodotto non viva troppo a lungo.
Esempio lampante è la recente inchiesta aperta dalla procura di Parigi ai danni di Apple. L’azienda di Cupertino è stata accusata di aver rilasciato versioni aggiornate del software con l’intento di ridurre la durata della batteria negli smartphone più datati per indurre i consumatori ad acquistarne di nuovi.
Ogni giorno sentiamo parlare di quanto le risorse del pianeta siano al limite, di quanto il ritmo di consumo attuale sia insostenibile, per non dimenticare che con la nostra spazzatura abbiamo dato origine a un nuovo continente. Ma cosa facciamo davanti a queste evidenze? Riduciamo i nostri consumi? Ci adoperiamo un uso più responsabile di ciò che abbiamo?
No. Paradossalmente, le aziende si impegnano a creare prodotti a brave durata, che vanno solo a ingrandire quell’enorme ammasso di rifiuti e hanno come unico fine l’aumento dei profitti.
Nel luglio del 2017 il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione con la quale invitava la Commissione Juncker a intraprendere iniziative concrete per contrastare il fenomeno della cosiddetta obsolescenza programmata. Tra le richieste, l’introduzione di un criterio di resistenza minima.
Purtroppo, però, la legge e il buonsenso sfumano davanti all’enorme potere politico ed economico dei colossi mondiali del Dio Denaro. E noi?
Ignari ma non troppo, compriamo rifiuti nuovi di zecca.
Gabriele Pujatti