11 novembre, ore 11.00: l’intero Canada si ferma per un momento. La città di Vancouver si raduna a Robson Square, interrompendo la quotidianità. In lontananza si sente solo il suono nostalgico di una tromba che parla per chi non può più farlo.
Un minuto, un solo minuto di silenzio e poi, lentamente, la città ricomincia a vivere: un minuto di silenzio per chi ha dato la vita per il paese che ha amato. Sopra ogni bus, in ogni strada, su ogni vetrina compare una scritta: “Lest we forget”, per non dimenticare.
In questa data, 100 anni fa, è stato firmato l’armistizio che mise fine alla prima guerra mondiale. All’undicesima ora dell’undicesimo giorno dell’undicesimo mese in tutti i paesi del Commonwealth si celebra il Remembrance day, per ricordare i soldati che, con il proprio coraggio e la propria vita, hanno difeso la loro patria.
Oltre 66.000 Canadesi caduti nella prima guerra mondiale e 39.000 nella seconda vengono così onorati per la loro lealtà e il loro sacrificio. Soldati che hanno vissuto per mesi lontani dalle proprie case e famiglie, sempre all’erta per un possibile attacco nemico, al freddo e talvolta in scarse condizioni igieniche. Soldati che hanno visto il dolore e la paura negli occhi dei compagni feriti, la morte e la distruzione che l’essere umano può provocare: migliaia di civili uccisi senza un perché, migliaia di famiglie distrutte da ciò che l’odio ha provocato.
Nelle scuole e nelle piazze si canta l’inno Canadese e viene recitata la poesia “In Flanders fields”: ognuno indossa un papavero rosso in segno di rispetto e di partecipazione.
In ogni cittadina si tiene la parata dei soldati e si onorano i veterani. Alcuni studenti in divisa marciano portando alta la bandiera del Canada, accompagnati dall’orchestra. Si pronuncia un discorso in nome delle vittime, tenuto sia in inglese che in francese, per rendere il paese unito nel ricordo di chi è morto per difenderlo: non c’è più differenza tra anglofono e francofono, tra straniero e canadese, tra giovane e anziano, ognuno ricorda le proprie vittime, in silenzio.
Nel ventunesimo secolo tutto il mondo commemora i propri soldati caduti e persone perseguitate e uccise, convinto che sia solo un ricordo del passato quando invece, in paesi non molto distanti dall’Europa, questi avvenimenti sono ancora all’ordine del giorno. Padri di famiglie Americane ed Europee che ricordano i caduti delle due guerre mondiali con i propri figli ma, allo stesso tempo, orgogliosi di difendere il proprio paese, ne distruggono altri uccidendo uomini e bambini.
Tutto ciò porta a riflettere sul significato di questi giorni della memoria: ricordare le stragi di avvenimenti passati, apparentemente così lontani, quando invece la realtà di morte, sofferenza e distruzione è ancora presente in molti paesi. Viene da domandarsi se tra cinquant’anni tutto il mondo avrà una ‘’Giornata della Memoria’’ in ricordo di tutti i civili uccisi nel Medio-Oriente nelle guerre che vanno avanti da sessant’anni circa. Come gli Stati Uniti, il più potente colosso economico del mondo, che finanziando armi e mettendo a disposizione i propri uomini causano solo altri conflitti e dolore, invece di intervenire in modo pacifico e porre fine a tutto ciò.
Esempi come il Remembrance Day o La Giornata della Memoria sottolineano in realtà una profonda ipocrisia nel pensiero umano: riservare un solo giorno all’anno in ricordo dei caduti e nei restanti 364 continuare ad uccidere.
Giorgia Bima, corrispondente dal Canada