I cartoni animati sono creazioni artistiche molto complesse da realizzare e con un’elevata capacità di influenzare le masse. Eppure, sono molto sottovalutati, e questo è molto triste. Alla luce delle possibilità artistiche ed espressive dei cartoni viene naturale chiedersi perché la forma di un’opera possa addirittura dare fastidio a una persona. Il motivo potrebbe essere banalmente un ragionamento fallace che un po’ tutti facciamo una volta raggiunta la veneranda età di circa dieci anni e che alcuni si portano dietro per tutta la vita. “I cartoni li guardavo da piccolo; i cartoni che guardavo da piccolo erano infantili; i cartoni sono infantili”. Ci si pone quindi di fronte a un cartone animato dando per scontato che sia qualcosa da bambini. Questo non ha senso, ma è meglio riprendere dopo il discorso.
In un cartone, come in più o meno ogni opera artistica, il punto fondamentale è il tema. Il problema è che qualsiasi tipo di produzione, quali serie TV, film (live action o animati che essi siano), o spettacoli teatrali, deve essere finanziata da qualcuno che esige visibilità. Perciò non è mai semplice rimanere coerenti con l’idea iniziale in quanto, se diventano “protagonisti” i soldi, si rischia di fare scelte legate più ai potenziali guadagni che al progetto originario. Ad ogni modo, quando il tema che si vuole affrontare non viene stravolto è già un successo.
Scelto il tema, bisogna adattare lo schema narrativo a un pubblico preciso, generalmente semplificando la storia man mano che si scende con le fasce d’età e aggiungendo dettagli man mano che si sale. Una volta scelto il target è estremamente importante non perderlo di vista. Facendo un esempio banale, nel cinema d’animazione più recente capita sovente di sentire in un film per bambini battute comprensibili solo agli adulti. Tuttavia, è possibile aumentare la difficoltà della comprensione in modo da rendere interessante una storia a un pubblico cresciuto con il cinema d’animazione e che non perda interesse “invecchiando”.
Poste le basi, bisogna lavorare sull’aspetto grafico: il disegno, ovviamente. Una regola d’oro per non perdere pubblico è scegliere uno stile adatto. Un esempio lampante sono i classici cartoni dei “robottoni” tratti dai manga di Go Nagai, semplici e puliti quando si tratta di corpi umani, complessi e dettagliati per i robot, in modo da attirare l’attenzione dei bambini e dei ragazzini che seguono la serie. Un altro ottimo esempio sono i cartoni Disney di metà ‘900, il periodo in cui il mercato dell’animazione stava ancora sviluppandosi. Si rivolgevano a tutti, erano corti dalla trama semplice, il character design era (ed è tuttora) rotondeggiante, con pochi ma studiati dettagli. In questa maniera sono facilmente “entrati in testa a tutti”, venendo chiaramente ricordati ancora oggi. Erano personaggi studiati per infondere buonumore a chiunque li guardasse, che ben incarnavano lo spirito dei cortometraggi allegri e frenetici di quel periodo.
Bisogna poi far differenza tra gli stili d’animazione: oggi è il 3D ad andare per la maggiore, i grandi incassi sono dovuti principalmente alla velocità con cui la tecnica migliora, che rende un dono per gli occhi vedere il film all’uscita. Ironicamente è proprio questo esponenziale aumento della qualità dell’animazione che a lungo andare gli si ritorce contro. Si prenda per esempio Frozen della Disney, anno 2013: alla sua uscita era stato acclamato per l’eccelsa qualità grafica, mentre visto oggi dà quasi un’idea di incompiutezza.
Tutt’altra storia con il tradizionale, che sembra diventare addirittura migliore, più elaborato, andando indietro con gli anni. “Biancaneve e i Sette Nani”, sempre di casa Disney, resta un piacere visivo persino a ottant’anni di distanza. Nessun dubbio a riguardo: la tecnica tradizionale sarà sempre superiore al 3D.
Tuttavia, esiste una tecnica ancor più apprezzabile, anche se forse non superiore al tradizionale: la stop motion. Questa tecnica d’animazione prevede lo scatto di fotografie a dei modellini da montare in sequenza per dare l’idea dell’animazione. La variante più popolare, la “passo uno”, prevede lo scatto di ben 24 fotografie per un singolo secondo di film.
Data la quantità di tempo impiegato nella realizzazione, sicuramente più di qualsiasi film in animazione tradizionale o 3D, e di personale da impiegare, diventa un gran rischio scegliere questa tecnica, che di recente sta perdendo popolarità. Nonostante tutto ciò la stop motion, forse anche solo per la consapevolezza di quanto lavoro e passione ci siano dietro, riesce a creare un’atmosfera magica, che non può svanire col passare degli anni; si pensi al celebre The Nightmare Before Christmas.
Una pesante limitazione della stop motion, dovuta al tempo di produzione, è che non è indicata per fare film al passo con i tempi, ma quasi solo storie fiabesche. Il lato musicale è non meno importante e complicato di quello visivo, ma richiederebbe un discorso troppo lungo e troppo tecnico per essere affrontato in questa sede.
Veniamo infine alla trama, che è sempre una questione molto delicata: in primo luogo deve essere comprensibile dal target del film, possibilmente mantenendo un senso, restando coerenti con il tema. Un film ben riuscito, banalmente, funziona a più livelli: racconta una storia che piace ai bambini, riesce a stimolare gli adulti e, difficile ma possibile, anche la critica. Oltre a ciò, dovrebbe riuscire a vendere, così da avere i soldi, o meglio, la fiducia per ottenere i soldi, per dei prodotti futuri. Oltre tutti questi punti ci sono da considerare tutte quelle faccende tipiche della produzione cinematografica e televisiva: fotografia, regia e quant’altro, su cui però preferisco non soffermarmi.
Messi insieme i pezzi del puzzle che compongono un cartone animato, diventa evidente quanto sia lungo e complicato il processo per produrne uno, ma è necessaria un’ultima riflessione.Bisogna tener conto del fatto che una trama banale non sempre è colpa dello sceneggiatore o del regista, poiché – come già detto – nella produzione di un cartone conta molto anche il fattore economico. Alla luce di ciò può capitare che si venga forzati in una certa direzione dai finanziatori, fino al punto di far perdere alla trama il suo senso originale. Infine, riprendendo il discorso iniziale, un cartone animato non è necessariamente un prodotto infantile. Col crescere dell’età degli spettatori le esigenze cambiano e, un po’ per lo stereotipo, un po’ per i costi di produzione dei cartoni, si prediligono i live-action; la sostanza però resta la stessa. Purché si rispetti il tema e la trama sia buona, un cartone non ha nulla da invidiare alla carne e alle ossa degli attori. Una prova del valore dei cartoni animati è il ruolo che hanno giocato ai tempi della Seconda Guerra Mondiale, quando sono stati sfruttati diffusamente per la propaganda politica e militare. Sull’argomento è istruttiva e interessanti una serie di video di Dario Moccia, che invitiamo a cercare sul web. Si spera che molti possano cambiare idea sull’argomento, soprattutto quelli più restii a farlo.
Daniele Avelluto