Bojack Horseman racconta la depressione meglio di qualsiasi altra opera cinematografica o teatrale. È una serie tv animata creata da Raphael Bob-Waksberg e disegnata da Lisa Hanawalt. La trama è semplice: in una Holliwoo(d/b) caratterizzata da aspirazioni e vizi, umani ed animali antropomorfi convivono e non fanno caso alle differenze di specie. Protagonista è il cavallo-uomo BoJack (doppiato nella versione originale da Will Arnett), un attore in declino e con il vizio dell’alcol che cerca di riconquistare il successo affidandosi ad una ghostwriter che dovrebbe scrivere la sua autobiografia.
BoJack è un insoddisfatto cronico, che cerca di sedare la sua depressione sbronzandosi e drogandosi fino a perdere i sensi. È rancoroso, egoista e spesso infantile. Nel corso delle stagioni compie molti gesti riprovevoli, che ne mostrano la natura egocentrica e opportunista.
Davvero si potrebbe provare empatia con un simile personaggio? A dire il vero, sì. Perché BoJack è una figura problematica di cui si riesce a comprendere la sofferenza: vorrebbe stare meglio, ma non ci riesce. Non sa come essere felice. BoJack sbaglia, e poi pensa agli errori commessi, rimuginando su come sarebbe potuta andare la sua vita se si fosse comportato diversamente.
In questo consiste la natura umana di BoJack. Nell’undicesima puntata della prima stagione, cercando di difendere il punto di vista adottato per la scrittura della biografia, Diane (la ghostwriter) dichiara: “Lo vedi? Alla gente piace molto il tuo lato umano che racconto nel libro. Ci si immedesimano. Così le persone vedono che anche tu, che puoi sembrare perfetto, in realtà sei fragile e vulnerabile come chiunque altro, e questo le fa sentire meno sole”.
La creatura di Bob-Waksberg ha rivoluzionato l’estetica delle serie tv, ma il punto è il modo in cui ha toccato dentro chi ha visto la serie. Ogni stagione è migliore della precedente, per intensità e per intreccio narrativo, ma anche per enfasi del dramma, che si fa sempre più oscuro, come il male di cui quasi tutti i protagonisti della serie soffrono: la depressione. Questa è reale, ti fa sbagliare ogni passo e ti fa avere bisogno delle persone accanto, perché ti dicano che sei una persona buona, quando da solo non ci credi più.
Ogni personaggio ha una profondità rara, e il discorso vale anche quelli non protagonisti; ogni storia è importante. Ci sono episodi in cui BoJack si vede a malapena, incentrati sulla vita degli altri personaggi, eppure non vorresti finissero mai, perché aggiungono sostanza a quel mondo e, a partire, dall’episodio successivo li guarderai in maniera diversa, come fossero amici che ti hanno confessato un segreto che sai solo tu.
Ogni stagione ha il suo fil rouge: ad esempio la sesta stagione (l’ultima e divisa in due parti) conclude la storia del protagonista che finalmente decide di andare in riabilitazione, ma non tutto va come previsto; proprio nel suo momento emotivo migliore, BoJack è costretto ad affrontare di nuovo il suo passato. Molti fan della serie hanno dichiarato che avrebbero preferito che questa si fosse conclusa con il penultimo episodio, “The View from Halfway Down”, e con la presunta morte del protagonista. Bojack Horseman, però, è una serie sulla presa di coscienza e sulla redenzione, e BoJack non avrebbe imparato nulla dalla morte.
Molti sono stati gli eventi che hanno segnato profondamente BoJack nel corso della sua vita: il disastroso rapporto con i genitori, il tradimento ai danni dell’amico Herb, l’abuso di alcol e di droghe. Ma, soprattutto, la morte di Sarah Lynn, di cui BoJack si sente colpevole.
BoJack ha trascorso gran parte della propria esistenza a ritenersi una persona tossica, che fa del male alle vite delle persone che gli orbitano intorno. La serie non smentisce mai questa convinzione del protagonista; ci insegna, però, che una volta accettate le proprie responsabilità e le conseguenze dei propri errori, è possibile anche perdonarsi e cercare di vivere il resto della propria vita nel miglior modo possibile. E BoJack ha sì perso molto, ma non tutto.
Se non l’avete mai visto, iniziate oggi stesso (in lingua originale). Se il primo episodio non vi convince continuate. Ogni battuta, ogni scena, ogni assurdità, disastro, lutto, amore finito o speranza parla di noi, della nostra condizione di esseri fallibili e del magone che arriva quando non riusciamo a raggiungere ciò che ci siamo prefissi.
Pensate l’ironia: ci voleva un cavallo parlante per farci guardare dentro senza maschere o scuse. A volte facciamo schifo, a volte tocchiamo il fondo senza neanche morire (- as BJ would say “I’ve Had A Lot Of What I Thought Were Rock Bottoms, Only To Discover Another, Rockier Bottom Underneath”).
Sergei Molinari