Pandemia. Davvero? A quanto pare sì: l’Oms (Organizzazione mondiale della sanità) l’ha dichiarato l’11 marzo. La diffusione del virus non si può fermare, ormai sembra che ogni continente del nostro pianeta sia destinato ad affrontarla, prima o poi. Il Coronavirus è davvero così grave come sembra, però? In realtà, per i non esperti, è difficile saperlo, vista tutta la confusione e il circo mediatico che c’è al riguardo. Siamo bombardati in continuazione da notizie e opinioni diverse, interviste e dichiarazioni spesso sono contraddittorie, persino le persone competenti si schierano le une contro le altre (“Coronavirus, scontro tra virologi: Burioni attacca la collega del Sacco”, la Repubblica, 23 febbraio 2020). Sarebbe un bene se ci fosse chiarezza, invece governa il panico, si vedono solo i numeri salire, ovunque si tiene il conto dei morti, chi spara il numero più alto vince: l’allarmismo è inevitabile. Non si parla d’altro. Questo è il motivo per cui succede ciò che è avvenuto a Milano: dopo che la Lombardia è stata dichiarata per intero “zona rossa”, oltre 500 persone hanno cercato di salire sugli ultimi convogli in partenza verso sud ancor prima che il premier Conte, nella notte, firmasse il decreto definitivo. Una vera fuga per mettersi in salvo. Tuttavia, i governatori del sud hanno risposto: «Non portate nella nostra regione l’epidemia lombarda». Le persone, a quanto pare, non sono neanche più in grado di ragionare e forse non si rendono conto che nelle regioni meridionali hanno tutte le ragioni per lamentarsi. Infatti, spiega la presidente Santelli «[…] È evidente che una sanità come quella calabrese, vessata da anni da tagli selvaggi, non è in grado di reggere una situazione di totale emergenza». La paura ha reso tutti irrazionali: dall’essere paranoici per il virus siamo passati all’essere imprudenti. Prima si fanno le scorte alimentari e non solo, tutti pronti a barricarsi in casa, e poi, quando davvero ci sarebbe bisogno di rimanere in quarantena, le persone si danno alla fuga, aumentando esponenzialmente il rischio di diffusione della malattia. D’altronde, per l’Italia e gli italiani, un’emergenza del genere è totalmente nuova. Nessuno è sicuro di quale sia il modo giusto di comportarsi. “È la prima volta che una società viziata e opulenta come la nostra affronta un’epidemia. Siamo disarmati.” (Maurizio Crozza, Fratelli di Crozza: “Monologo sul corona virus”). Non solo, ma sembriamo anche diffidenti – si potrebbe aggiungere – nei confronti dei politici che impongono le restrizioni, degli scienziati che sono all’opera per limitare il problema, del nostro sistema sanitario, che è efficiente, ma molto lontano dall’essere perfetto. È anche difficile riporre nella sanità italiana una cieca fiducia sapendo che, negli ultimi dieci anni, è stata sottoposta a tagli corrispondenti a 37 miliardi di euro. Affidarsi ai nostri medici e ai nostri ospedali, tuttavia, è necessario, perché solo loro possono garantire dei trattamenti adeguati.
Purtroppo, in questa situazione, è facile esagerare, sia in un senso che nell’altro. Se da una parte domina la paura, dall’altra la spavalderia dilaga ampiamente. Chi non scappa è convinto di essere immune o di potercela fare anche senza bisogno di rispettare le restrizioni, perché tanto “il virus è pericoloso solo per gli anziani”. Ebbene, non è vero. Per il 16% dei casi (Centers for Disease Control and Prevention), la malattia causa sindromi respiratorie severe che necessitano di ospedalizzazione e terapia intensiva. Inoltre, le persone a rischio non sono solo gli anziani, bensì anche tutti coloro che hanno un sistema immunitario debole o compromesso. Determinare i soggetti in pericolo non è facile come sembra, però. L’indebolimento del sistema immunitario è infatti più comune di quanto si pensi: può dipendere da stress, stanchezza, carenze alimentari… insomma, ognuno di noi potrebbe esserne soggetto. Con un R0 (dato che quantifica il numero di casi secondari attesi in seguito ad una singola infezione, insomma un indice di “contagiosità”) compreso tra 1,4 e 2,5, il SARS-CoV-2 è altamente infettivo. Questo significa anche che ogni persona potrebbe essere mezzo di facile trasmissione, indipendentemente dalla gravità con cui la malattia si manifesta. Non è quindi il virus che deve spaventarci, ma la sua diffusione. Il sistema sanitario italiano non è strutturato per far fronte a un’epidemia. Le risorse, i respiratori, i posti letto, gli infermieri non sono sufficienti per tutti. La Siaarti (Società Italiana di Anestesia Analgesia Rianimazione e Terapia Intensiva), è già stata costretta a prendere misure a riguardo: da ora in poi, si aiuta prima chi è più sano e più giovane. «Si decide per età, e per condizioni di salute. Come in tutte le situazioni di guerra. Non lo dico io, ma i manuali sui quali abbiamo studiato» afferma Christian Salaroli, anestesista rianimatore a Bergamo.
Le regole imposte sono importanti per evitare che le persone si ammalino tutte contemporaneamente. Senza di esse, il sistema sanitario collasserebbe. Nel tentativo di evitare che questo succeda, i politici di tutto il mondo si stanno affidando a esperti e scienziati. Stanno prendendo decisioni difficili che mettono in crisi settori dell’industria e dell’artigianato. Stanno rischiando il tutto per tutto. Eppure, ancora in molti ignoriamo le regole. Crediamo davvero di poterci mettere al di sopra del loro giudizio, di poter decidere noi cosa è meglio in questa situazione? D’altronde, siamo tutti laureati in medicina e tutti abbiamo la specializzazione in virologia, no?
Isabella Scotti