“La Russia è una nazione europea amichevole, la pace stabile del continente è un obbiettivo fondamentale per la nostra nazione”: questo dichiarò il presidente russo Vladimir Vladimirovich Putin al parlamento tedesco il 25 settembre del 2001.
Dal 2001 sono passati ormai ventun anni e il tempo, invece che consiglio, ha portato innumerevoli cambiamenti; tuttavia, quando il danno è ormai fatto non bisogna commettere l’errore di andare a vedere solo quali siano state le conseguenze, perché è fondamentale risalire alle cause. L’Ucraina viene aggredita giorno dopo giorno da un esercito inviato dal Cremlino per distruggere ciò che di più importante è rimasto al popolo ucraino: la sua identità nazionale.
Si contano quattro milioni di rifugiati ucraini; sul numero dei morti gli esperti non riescono ad accodarsi, ma con una guerra in corso da oltre un mese sarebbe strano il contrario.
E i russi in tutto questo? Il presidente russo gode certamente del sostegno di molti concittadini, anche se pare che la maggioranza non sia dalla sua parte; tuttavia, il suo potere è ancora solido e gli permette di proseguire con questa via politica.
Manifestazioni o idee diverse? Per carità! Che rimangano in casa, anzi, nell’anticamera del cervello se non si vogliono subire ripercussioni.
Rancoroso e dal grilletto facile, non solo in senso figurato, nei confronti di chi si oppone alla guerra, Putin considera semplicemente “traditori e vili” tutti coloro che tentano una resistenza al suo sogno di ritorno all’antica grandezza sovietica.
Ma quale Russia sogna lui? Il giovane Vladimir Putin ha assistito al crollo del muro di Berlino nel 1989 e, mentre l’Europa festeggiava questa liberazione, dall’altra parte qualcosa in lui si deve essere spezzato. L’impatto è stato tale che in seguito ha definito la fine dell’impero sovietico come la più grande catastrofe del XX secolo; non la I o la II guerra mondiale, non il massacro di Nanchino o la bomba nucleare su Hiroshima, non il crollo di Wall Street o il disastro di Chernobyl, ma la caduta di un Muro che per ben 28 anni ha separato la Germania ovest, sotto controllo occidentale, dalla Germania est, controllata dalle forze sovietiche.
Vergogna, ecco quello che deve aver provato in quel momento, e poi un susseguirsi di umiliazioni quando la Russia, in profonda difficoltà economica, è stata costretta ad andare a elemosinare aiuto dall’Occidente. Uno Stato forte rappresenta l’ordine del paese oltre che esserne il garante: se non è possibile avere uno stato forte per via democratica, cosa fare? L’imposizione e la dittatura?
Putin ha spesso affermato che il ricordo più vivido dei suoi studi di giurisprudenza è “il rispetto della legge”, ma fra il dire e il fare c’è di mezzo il mare. La storia di Putin è molto diversa prima della sua candidatura a leader sovietico: nato poverissimo in una altrettanto povera Leningrado (oggi San Pietroburgo) e senza particolari talenti, a tredici anni scopre le arti marziali diventando un piccolo fenomeno locale: sono le stesse arti marziali a permettergli qualche anno dopo di entrare a far parte del famigerato KGB, i servizi segreti sovietici. Vivendo nella miseria e all’ombra di una guerra che aveva visto i Sovietici contrapposti alla Germania nazista, si è radicata in lui l’idea che i deboli sono destinati a cadere se non trovano un modo per stare in piedi. Una volta che si ha il potere tra le mani è comprensibile quindi che certe sottigliezze legali possano risultare scomode, e se l’attenzione ricade su quelli che sono i reali desideri del presidente non si può non notare che le due fazioni stonano.
Celebre è il caso di Anna Politkovskaya, giornalista investigativa russa uccisa – celebre per alcune inchieste “scomode” sul presidente e il suo entourage – nell’ascensore del suo appartamento a Mosca da cinque colpi di pistola, il caso vuole sia successo proprio il giorno del compleanno di Putin.
Anche il caso di Alexander Litvinenko si aggiunge alla serie di crimini di cui si è, con molta probabilità, macchiato indirettamente il Cremlino. La recente propensione della linea politica russa a ricorrere alla violenza sarebbe dovuta emergere già dopo i massacri in Cecenia, ma l’Europa è arrivata ad aprire gli occhi solo a causa degli ultimi avvenimenti.
Il governo russo, e una parta dell’opinione pubblica del Paese, ritiene che l’Ucraina debba continuare a orbitare nell’area di influenza di Mosca e giudica un atto di aggressione di Nato e Unione Europea il suo recente avvicinamento a posizioni politiche occidentali.
Il potere corrompe, rende avidi e ciechi, è risaputo. Cosa rimane dell’uomo che nel 2001 conquistò la fiducia dei suoi concittadini e di tanti leader europei e nordamericani? La minaccia, ormai non più tanto velata, di un possibile ricorso alle armi nucleari ci dice che il filo di quel dialogo sembra ormai spezzato.
Che voglia ricreare il mito dell’impero di Pietro il Grande, tornare alla grandezza della Russia sotto il dominio di Caterina I o al regime sotto Stalin, le strade che gli si prospettano davanti sono unicamente due: vincere o cadere, anche se della seconda possibilità è meglio non parlare in sua presenza.
Come si dice in Russia, “non bisogna criticare uno specchio se ha la faccia storta”: proprio perché in difficoltà, deve mostrare sicurezza e fermezza, come in una mano di poker; però, alla fine, quello che conta sono le carte che si hanno in mano.
Elena Vaudetti