Al giorno d’oggi, il benessere materiale sembra essere l’unico fine per la maggior parte delle persone: una corsa continua per accumulare denaro e beni concreti. Purtroppo, quindi, si pensa sempre di più ad avere una bella casa, vestiti firmati, uno stipendio sostanzioso o l’ultimo modello di smartphone; mentre concetti come morale, etica, cultura o passione sembra che stiano passando sempre più in secondo piano.
Noi crediamo, invece, che la serenità della psiche e l’interiorità della persona siano assai più importanti di quanto si guadagna. Le persone avide e materialiste, alle quali non basta mai ciò che hanno e che vogliono sempre di più, sono superficiali e prive di morale.
In più, se proprio dovessimo quantificare una reale ricchezza, l’unica che conta veramente è quella culturale, in grado di arricchire ciascun individuo e aiutarlo a costruirsi la propria personalità e il proprio pensiero critico.
Possedere un gran patrimonio non ci rende persone migliori. E’ vero che senza denaro la vita non sarebbe possibile, ma un conto è farlo diventare un dio, un altro imparare ad accontentarsi del necessario per una vita dignitosa. I soldi devono aiutare a vivere, non diventare uno scopo di vita. Un conto è il benessere, un altro il lusso. Le energie che molto spesso vengono “sprecate” per arricchirsi potrebbero essere impiegate nello studio e nella ricerca della felicità. A questo proposito, è interessante notare come questi tre concetti – ricchezza, studio e felicità – siano sovente collegati nella società in cui viviamo.
La vita dovrebbe essere impiegata per realizzarsi prima di tutto come persone, ma non trasformando il lavoro e il relativo guadagno nell’unico strumento per poterlo fare. I soldi non impiegati per i fabbisogni naturali, per esempio, potrebbero essere investiti per arricchirsi come persone, non come proprietari di beni: visite culturali, approfondimenti storici o filosofici, corsi per imparare una nuova lingua. Lo stesso Aristotele, uno dei padri del pensiero occidentale, diceva: “È chiaro che non è la ricchezza il bene da noi cercato: essa, infatti, ha valore solo in quanto “utile”, cioè in funzione di altro”.
La tendenza a prediligere l’aspetto prettamente economico a quello morale può essere in parte giustificata dal fatto che oggigiorno contino molto l’apparenza e l’estetica. Conta molto l’aspetto fisico e si tende quindi a voler acquistare abbigliamento di marca pensando che solo così si venga considerati persone migliori. La vera bellezza della persona, tuttavia, non è quella esteriore: non dovremmo mai fermarci alle apparenze, ma riuscire a scavalcare l’ostacolo della superficialità.
A questo punto c’è da chiedersi: ha senso vivere ricchi fuori ma poveri dentro? Con un conto in banca gonfio ma con la testa e il cuore vuoti? Non è forse più sensato pensare di più ad arricchirsi di cultura?
In fondo, e qui sta il punto, c’è qualcosa che ci accomuna tutti ma a cui pensiamo davvero poco: la vita non è eterna. Morire pieni di soldi può far felice solo chi rimane, ma non significa che gli stessi soldi siano serviti a morire felici e realizzati.
Una vita alla ricerca di un senso può portare ad un miglioramento del mondo.
Parole forti? Forse. In fondo, come può l’azione di un singolo abitante della Terra, su quasi otto miliardi di individui, cambiare le cose in meglio? Eppure, anche la scelta più invisibile ai più può rendere la nostra vita e quella altrui migliore. Anche una sola frase può migliorare la giornata, un piccolo gesto può avere grandi conseguenze. È il cosiddetto butterfly effect: il battito d’ali di una farfalla che genera uno tsunami dall’altra parte del mondo. E il nostro effetto farfalla potrebbe essere quello generato proprio da educazione, istruzione e cultura. Perché un investimento su noi stessi non è mai a fondo perduto.
Benedetta Pangallo e Ivan Perino