112 pagine: è questa la lunghezza del plico che ormai da diversi giorni si trova sulla scrivania di Yariv Levin, Ministro della Giustizia israeliano. 112 pagine piene di parole che pesano quanto pietre: sono il capo d’accusa diretto da uno stato al proprio presidente.
Ma andiamo con ordine.
Il 25 Maggio 2022 si apre uno dei più attesi processi della politica estera degli ultimi anni: Benjamin Netanyahu diventa il primo premier israeliano a sedere al banco degli imputati. Le accuse comprendono frode, corruzione e abuso di fiducia per via dei vari “regali” in cambio di favori politici. Alla prima udienza, il 19 Luglio, il premier si dichiara innocente e definisce le accuse “create ad hoc per estromettere un primo ministro forte e bandire la leadership di destra”; ma l’udienza prosegue fino allo scorso autunno, quando Netanyahu ottiene la maggioranza alle elezioni politiche e torna ad essere premier con tanto di immunità.
A provocare la reazione del popolo e della magistratura è una delle prime riforme del nuovo governo israeliano: il ministro Levin, sostenuto da tutto il consiglio e dal premier, presenta la bozza di una riforma della giustizia: una drastica revisione del sistema giudiziario che assegna al governo un’autorità pressoché illimitata, soprattutto nei campi della separazione dei poteri, dell’indipendenza giudiziaria e della protezione dei diritti individuali.
E proprio di questo parlano le decine di lettere indirizzate all’ufficio di Netanyahu nell’ultimo mese. A scrivere sono i più autorevoli magistrati e avvocati del Paese, che prendono posizione contro l’esecutivo. Per loro, la riforma “trasformerà la Corte suprema da istituzione indipendente a organo politico” e “limiterà di molto l’autorità di giudici e tribunali di esercitare una reale critica verso il governo in caso di abuso di potere”. La Corte suprema di Israele è, in effetti, un simbolo di autorità riconosciuto a livello internazionale; è stato l’organo fondamentale per la tutela dei diritti umani nel Paese, in assenza di una Costituzione. “Questi risultati”, affermano i giudici, “sono in grave pericolo”.
Tra gli altri, spicca il plico dell’attuale procuratrice generale dello stato, Gali Baharav-Miara. Nelle sue argomentazioni c’è un avvertimento al governo Netanyahu; afferma infatti che il premier debba evitare di intervenire in qualunque iniziativa riguardi cambiamenti al sistema giudiziario, e allo stesso modo astenersi anche solo dal dare istruzioni che riguardino gli organi della magistratura. Il motivo di tale imposizione è la preoccupazione che, data l’imputazione del premier nel processo già citato, possa nascere un conflitto di interessi. Secondo Baharav-Miara, infatti, se da una parte è vero che la democrazia è fondata sul governo della maggioranza, è altrettanto vero che le autorità di governo non devono godere di poteri illimitati, per evitare di mettere a rischio il rispetto di diritti umani fondamentali.
E mentre i magistrati portano avanti questa silente lotta nei palazzi di governo, per le strade di Israele il popolo si mobilita, guidato anche dai partiti di opposizione. Nell’ultimo mese, diversi gruppi attivisti hanno manifestato con cortei in punti strategici di Tel Aviv, gridando contro la censura di un governo che inizia ad assomigliare forse un po’ troppo ad alcuni incubi storici ricorrenti.
Sebastiano Scali