Io vi perdono, ma dovete mettervi in ginocchio

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falcone_borsellino_biografia-breve_due-minuti-di-arteIo sono nata il 23 maggio. Data banale? No, per niente. Nella stesso giorno, 504 anni fa i Maya combatterono contro i Conquistadores; 72 anni fa, il puntale della nostra Mole Antonelliana è caduto verso le 19; ma, soprattutto, 32 anni fa 2 macchine sono saltate in aria sulla A29, all’altezza di Capaci. 

Facciamo, però, un passo indietro. È il 1980 e Rocco Chinnici, un magistrato italiano, propone di fondare il pool antimafia (simile a quello che già esisteva a Torino per la lotta al terrorismo): un gruppo di magistrati come lui, che opererà condividendo le informazioni a livello nazionale e affrontando in maniera nuova il problema della mafia. Gli altri componenti del pool sono Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Giuseppe Di Lello Finuoli e Leonardo Guarnotta. Dopo il trasferimento di Borsellino alla procura di Marsala arrivano anche molti altri magistrati, che contribuiscono a consolidare le prove per far sì che il Maxiprocesso di Palermo del 1987 (e poi tutti quelli a venire) si possa chiudere con le necessarie condanne.

Tra tutti i protagonisti della lotta alla mafia, meritano uno spazio speciale Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. 

Si conoscono all’età di 13 anni sul campo da calcio in oratorio e si ritrovano sui banchi dell’università. 

Dopo aver lavorato presso la procura di Trapani, Falcone comincia a occuparsi di lotta alla mafia e nel 1967 istruisce il primo processo a Marsala, contro il boss mafioso Mariano Licari.

Borsellino, nel frattempo, lavora da procuratore a Trapani e nel 1980 inizia anche lui a dedicarsi alla lotta alla mafia, dopo l’attentato a Emanuele Basile, un uomo che considerava “un fratello”. I due magistrati si ritrovano a lavorare insieme, appunto, nel pool antimafia.

23 maggio 1992. Falcone, la moglie Francesca Morvillo e due auto di scorta si trovano sulla A29 diretti a Palermo, dopo essere atterrati a Punta Raisi. L’auto sta passando vicino allo stesso mare che bagna anche l’altra isola sulla quale tre anni prima due persone – tuttora ignote – avevano provato ad ammazzare Falcone, senza riuscirci. 

Sono le 17:56, quando 500 chili di tritolo distruggono completamente il pezzo di autostrada che le tre macchine stanno percorrendo. Solo uno sopravvive all’attentato, nel giro di poche ore tutti gli altri perderanno la vita, nonostante i disperati tentativi dei soccorsi. C’è giusto il tempo, per Borsellino, di arrivare all’ospedale e vedere l’amico morire tra le sue braccia e la moglie di lui sotto i ferri. Così finisce la vita di Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montanari.

19 luglio 1992. È mattino e  Borsellino sta uscendo da casa, quando un’auto parcheggiata in via D’Amelio a Palermo esplode, uccidendolo insieme a cinque agenti della scorta: Agostino Catalano, Emanuela Loi (prima donna a far parte di una scorta e anche prima donna della Polizia di Stato a cadere in servizio), Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. L’unico sopravvissuto è l’agente Antonino Vullo, che al momento dell’esplosione sta parcheggiando una delle auto della scorta.

La moglie di Borsellino sceglie di celebrare un funerale privato, rifiutando quello di Stato, perché considera quest’ultimo “incapace di proteggere i suoi cittadini”. 

Ma la lotta non è finita: migliaia di cittadini prendono ancora oggi come punto di riferimento i due magistrati simbolo della lotta alla mafia, seguendo il motto “NON LI AVETE UCCISI, LE LORO IDEE CAMMINANO SULLE NOSTRE GAMBE” (comitato dei lenzuoli, Palermo).

«Io, Rosaria Costa, vedova dell’agente Vito Schifani – Vito mio – battezzata nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, a nome di tutti coloro che hanno dato la vita per lo Stato – lo Stato… – chiedo innanzitutto che venga fatta giustizia, adesso. Rivolgendomi agli uomini della mafia, perché sono qua dentro (e non), ma certamente non sono cristiani, sappiate che anche per voi c’è possibilità di perdono: io vi perdono, però vi dovete mettere in ginocchio, però, se avete il coraggio… di cambiare… loro non cambiano … se avete il coraggio… di cambiare, di cambiare, loro non vogliono cambiare loro… di cambiare radicalmente i vostri progetti, progetti mortali che avete. Tornate a essere cristiani. Per questo preghiamo nel nome del Signore che ha detto sulla croce: “Padre perdona loro perché loro non lo sanno quello che fanno”. Pertanto vi chiediamo per la nostra città di Palermo che avete reso questa città sangue, città di sangue… Vi chiediamo per la città di Palermo, Signore, che avete reso città di sangue – troppo sangue – di operare anche voi per la pace, la giustizia, la speranza e l’amore per tutti. Non c’è amore, non ce n’è amore, non c’è amore per niente.» 

Sono queste le parole, ormai celebri, pronunciate dal pulpito, fra le lacrime, da Rosaria Costa, moglie di Vito Schifani, durante i funerali per le vittime della strage di Capaci; di fianco a lei, a darle sostegno, don Cesare Rattoballi, amico e confessore di Paolo Borsellino, nonché cugino proprio dell’agente Vito Schifani.

Sara Gianoglio

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