Adalgisa torinese

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immagine TeppaCittà austera, città elegante, città di un barocco timido . Città del Po, che serpeggia verdastro e riflette le dolci colline. E le colline, magico rifugio esoterico di variopinta borghesia: avvocati, dottori, impiegati. E piazza Vittorio, i portici, il Porto sicuro dei torinesi doc (che è di Savona), la Mole. La Mole che punzecchia il cielo grigiastro. La stella, a cinque o sei punte? E i mostri, dentro rinchiusi, e gli eroi e i cowboy del West che condividono quel condominio peculiare. E a guardare verso il Centro cremisi e crema: Palazzo Nuovo e l’Università. I rossi, intanto, marciano sotto i portici fra venditori di libri, scritte oscene e chiese vuote. Cento, forse più, statue di cavalieri sabaudi, sciabola in pugno, sempre pronti alla carica urlando come a Nikolajewka: “Avanti Savoia!”.  E il Grattacielo del Duce, il Palazzo del Re e il Castello della Madama, tutti che scrutano la Piazza. A Destra o a Sinistra? Di là i mattoni del Carignano, il Teatro, la Residenza, la Camera dove nacque l’Italia, e appena più in sù, di nuovo verso il Po, la Libreria Britannica: sancta sanctorum dei colti, stravaganti e colorati, che sciamano da quelle parti. Di qua San Lorenzo, il Duomo e la Porta di Augusto: la Città di Dio, insomma. Ma anche diritto, perché no? Via Garibaldi, arteria un po’ frenetica e in fondo, molto in fondo, la Statua del Diavolo, santo patrono di Torino, le ali spiegate. Lì, sotto la piazza, sotto le fogne, sotto i suoi piedi, i suoi servitori che, timidi, si nascondono, fanno magie. Forse gli unici che hanno capito la città, dove Sindone e Demonio prendono un caffè al Bicerin. Caritas Christi Urget Nos, mormorano i deformi rinchiusi nel Cottolengo, fra un turista milanese e uno di Belluno. “Cutu!” Senti urlare dal pensionato stanco e arcigno, appostato sul balcone. Ad essere sinceri, l’avrà detto in siciliano o in arabo. Non lontano il Cimitero vasto e un professore sornione ammira Superga perpetuamente: da lì si vede così bene! Un giovinetto che esca da via Bligny, e vada un po’ su, un po’ giù, un po’ a destra e un po’ a sinistra, che salga dei gradini e scenda delle scale, guardi in alto e in basso, che ascolti di qua e di là, verrebbe inondato da tutto questo e, una volta esiliato nella terra dei barbari, dirà fra sé e sé, tra una versione di greco e una tazza di tè macchiato da una nuvola di latte: “Ma che bela ch’a l’è Turin!”.

Stefano Teppa

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