Il tepore del sole smorzato dalle nubi non riesce a raggiungere i nostri volti;
scarni, spenti, morti.
Qui è sempre inverno.
I più fortunati s’abbandonano, stanchi di respirare, nella gelida neve, sporca di odio e dolore.
Ordini folli, grida.
Un rumore perenne: i pianti di donne, uomini, vecchi e bambini.
Il treno sulle rotaie ricorda il battito del cuore che ormai non ha più senso ascoltare.
Ci hanno portato qui, chiusi a centinaia dentro quei vagoni carichi di morte;
una volta varcata la soglia del campo l’unica via d’uscita è attraverso i suoi camini, bruciati, da vivi o non più. Unica colpa: l’innocenza.
Ci portano via i figli, ci separano dalle nostre mogli, ci frustano e ci torturano.
Conosciamo l’inferno prima del tempo, lo viviamo.
Nella fabbrica di morte aspettiamo che l’anima di cui ci hanno privato voli di nuovo libera, lontano dalla pazzia, lontano dalla sofferenza. Lontano da Auschwitz.
Lorenzo Eula (2E)