La lunga strada verso casa

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È vero, chiunque parta con il Treno della Memoria sa con certezza di dover visitare i luoghi in cui l’uomo si è spinto più in basso delle bestie. È vero, quando si supera il cancello d’ingresso di Birkenau, con una sola occhiata, si ha l’idea delle dimensioni della follia umana, ed è vero che quando si è nella camera a gas di Auschwitz un brivido corre costantemente sotto la pelle, ma è anche vero che per 800 ragazzi di 18 anni è difficile capire veramente ciò che si vede laggiù in Polonia.

Se non si conosce la storia, Auschwitz è solo un museo. Senza sapere ciò che avveniva al suo interno “Il lavoro rende liberi” sembra, paradossalmente, uno slogan marxista, e, se non fosse frutto di una mania ossessiva generalizzata, la simmetria con cui è stato costruito il campo trasmette quasi serenità.

È impossibile separare la memoria dal sentimento: noi, i figli delle ultime due generazioni, non abbiamo memoria di ciò che è stato in tempi di guerra; ci è impossibile dunque capire quanto sia stato immensamente folle tutto quello che la guerra ha portato. Dodici milioni, i morti. Un numero talmente grande che non può essere tradotto in vite umane per noi, che viviamo in un contesto di pace. Anche visitando quello che dal ’41 al ’45 è stato l’inferno in Terra nessuno di noi ha potuto cogliere appieno il senso che ha avuto negli anni di attività.

Durante la visita al campo nessuno ha osato parlare. Erano tutti con il capo chino, a riflettere. Ma dopo la visita, la sera, tutti i ragazzi sono andati a cena fuori, e poi a guardare un film. I discorsi su ciò che si aveva visto sono stati rimandati al mattino seguente, e la sera è passata in compagnia, con una birra in mano. E questo non per leggerezza, ma perché quello che si era visto era decisamente troppo grande, e, soprattutto, troppo lontano. Un’altra generazione ed i testimoni viventi saranno del tutto scomparsi. Niente più memoria. Niente più sentimento di quello che è stato. Ancora una generazione e quello che resterà dell’atroce frutto dei fascismi sarà al pari di qualsiasi altra guerra che si studia sui libri di storia.

Date, battaglie, strategie, poco più. Il vero senso, la vera follia, il vero dolore sono sfuggevoli già oggi.

Un ex deportato, in una sua testimonianza ha detto che, conoscendo la storia, o visitando luoghi come Auschwitz e Birkenau, noi possiamo avere solo una vaga cornice; il quadro vero e proprio non potremo mai vederlo con i suoi cupi colori e con le sue immagini di morte. Giusto. Niente di più vero.

Infatti conoscere la storia non ha evitato il ricadere nell’atrocità. Si pensi all’Afghanistan, alla Corea del Nord e alla Corea del Sud, al Corno d’Africa, all’eterna guerra tra Palestina ed Israele. Solo chi conosce il dolore lo evita, ma la storia si conosce solo astrattamente. L’utopia del conoscere il passato per evitarlo è una dolce illusione. Amaro a dirsi, ma “also who knows the past is bound to live through it again”.

Annalisa Chiodetti (5C) … di ritorno da Auschwitz

 

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