Cosa c’è dietro a un pieno di benzina?

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Nigeria: una realtà spesso troppo ignorata

Un reportage di Giorgio Fornoni e un intervento di Michele Curto raccontano il lato oscuro delle compagnie petrolifere sul Delta del Niger

 

Sono le 8.30 del 9 marzo 2011: al Convitto Nazionale Umberto I ha inizio l’autogestione. In un’Aula Magna cupa e gremita di ragazzi e ragazze, l’atmosfera di una Nigeria in preda alla guerriglia travolge la sala. Nessun filtro, nessuna censura: il reportage del giornalista Giorgio Fornoni racconta di un paese schiavo delle compagnie petrolifere. Eni, Agip, Total, Shell: sono questi i responsabili dello sfruttamento e del degrado ambientale derivati dall’estrazione selvaggia e priva di scrupoli del petrolio in Nigeria. Il clima tropicale e la mancanza di manutenzione delle compagnie provoca la corrosione degli impianti; l’olio esce dai tubi e filtra in superficie, inquinando il terreno e l’acqua. La popolazione rurale è costretta a utilizzare acqua mista a petrolio per lavarsi, cucinare e  bere. Nel villaggio di Akala-Olu il paesaggio è dominato dalle fiamme: è il gas flaring, cioè l’uso di bruciare il gas che si trova nello strato più alto dei giacimenti. “I più giovani non hanno mai visto il buio della notte” testimonia un uomo locale. La salute dell’ambiente e dell’uomo è fortemente compromessa, le emissioni di Co2 prodotte in questa zona rappresentano il 3% delle emissioni a livello globale. Sono sorti due diversi tipi di opposizione: una è quella violenta e armata del Mend, Movimento per l’emancipazione del Delta del Niger, costituito da guerriglieri che da anni utilizzano rapimenti e sabotaggi come strumenti di protesta; l’altra, invece, è quella pacifica che vede tra i suoi esponenti uomini come Ken Saro-Wiwa, scrittore e attivista che tra gli anni Ottanta e Novanta condusse una lotta non violenta contro le multinazionali. Considerato un personaggio scomodo, fu condannato a morte nel 1994 da uno stato totalmente asservito alle compagnie petrolifere.

Oggi la popolazione nelle zone rurali è quasi scomparsa. Le compagnie avevano promesso una ricaduta sociale ed economica della ricchezza derivata dall’estrazione, ma la verità è che viene assunto soltanto personale proveniente da zone europee.

Al termine del video in Aula Magna si riaccendono le luci, Michele Curto, fondatore dell’associazione Terra del Fuoco, ex referente dell’area europea di Libera e organizzatore dell’incontro, prende la parola. Racconta ai ragazzi una storia di giovani come loro. Tre siciliani laureati con il massimo dei voti in ingegneria al Politecnico di Torino, tornati nella loro terra, non trovano lavoro. L’Eni offre loro un impiego in Nigeria, 4500 euro al mese, 15 giorni di vacanza ogni tre mesi, una villa con piscina e un servizio di scorta per accompagnarli agli impianti. Questa è la vita che spetta a chi decide di entrare in un mondo cieco e sordo all’urlo di disperazione del popolo nigeriano. Dietro a tutto questo c’è un’azienda creata dallo Stato italiano e sono gli Italiani i maggiori consumatori dei prodotti Eni. Ma quanto sono consapevoli di cosa succede ogni giorno nelle zone del Delta del Niger per causa loro? Sono proprio esperienze come quella dell’autogestione che possono fare la differenza.

L’obiettivo è stato raggiunto: i ragazzi lasciano la sala più informati e più consapevoli della realtà che li circonda.

 

Letizia Cardone e Cecilia Grabowski (4D)

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