Il 9 di ottobre del 1963 trecento milioni di m³ d’acqua si sono riversati nella valle del Piave, in Veneto, causando più di 1900 vittime. Così si presenta la strage del Vajont che l’ONU in occasione della presentazione del 2008 quale “International Year of Planet Earth”, anno internazionale del pianeta Terra, ha definito “il peggior disastro ambientale mai accaduto nel mondo provocato dall’uomo”. Con la costruzione della diga del Vajont il primato che si voleva raggiungere non era solo quello di la diga più alta del mondo, ma quello di realizzare un grande profitto in poco tempo. Il progetto, sviluppato fra interessi economici e politici, fu presentato in forma definitiva nel 1957 per bilanciare l’alto consumo di energia della Regione Veneto, ma i lavori erano già iniziati alla fine dell’anno precedente. La sua approvazione dipendeva essenzialmente dagli studi geologici del territorio, su cui esistevano preoccupanti imprecisioni. Questo non costituì tuttavia un problema per il consiglio superiore dei lavori pubblici, che diede ugualmente il suo consenso. Mentre la diga cresceva la natura cominciò a dare i primi segni di cedimento: sul monte Toc, infatti, cominciarono a formarsi grandi crepe che, in seguito a nuovi studi geologici mai arrivati fra le mani degli organi di controllo, si rivelarono essere la dimostrazione della grande instabilità del terreno. I continui invasi e svasi effettuati per collaudare l’efficienza della diga non fecero che peggiorare la situazione causando una prima frana. Forti scosse sismiche e boati cominciarono a scuotere la valle sempre più spesso, preoccupando ogni volta di più gli abitanti. Già prima dell’ultimo invaso, con il quale il livello dell’acqua raggiunse i 710 m (quota dieci volte maggiore rispetto al limite di sicurezza stimato) i danni erano ormai irreparabili e l’ultimo tentativo di limitarli scendendo a 695 metri riuscì solo a sottrarre alla montagna l’ultimo elemento di sostegno che le era rimasto: l’acqua stessa. Dopo una lunga agonia il monte si lasciò andare, cadendo fra le braccia del lago, che scavalcò la diga, senza recarle alcun danno e ripiombò nella valle per poi scorrere via trascinando con se le vite di 2000 persone che avevano visto stravolgere la geografia della loro valle.
Cosa rende però questo disastro diverso dagli altri accaduti per mano dell’uomo che hanno causato un numero ancora maggiore di vittime? Cosa lo rende più grave del disastro di Bhopal in India, in cui persero la vita 4000 persone in una sola notte, o del crollo delle dighe di Banquiao e Shimantan in Cina la cui onda di piena causò ben 26 000 vittime? La risposta non è facile né da trovare né da accettare, ma esiste. É la consapevolezza. Il sapere, l’essere al corrente di ciò che stava per accadere. La sua decisione di alcuni di ignorare l’evidenza, di preporre alla vita delle persone il desiderio di profitto, il desiderio d’importanza. La decisione di volersi sentire grandi senza farsi scrupolo delle conseguenze. Nella strage del Vajont la natura crolla di fronte all’arroganza umana, così come il Toc è sprofondato nel lago davanti alla diga, che continua ad ergersi imperturbabile e quasi ridicola, gettando la sua ombra sulla valle sotto la montagna ferita.
Federica Baradello (2F)