La Firenze di oggi

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Firenze ieri: il centro di un’infinità di correnti culturali che si scontrano, talvolta si fondono, soffiano con diverse intensità tanto che manca poco al rimpiangere la posteriorità dell’invenzione del giubbotto di piuma d’oca, mancanza da rimproverare a quel genio che fu Leonardo anche se il suo “uomo vitruviano” sulla moneta da un euro concede il perdono. L’aspetto della Firenze di oggi appare leggermente reinterpretato in chiave moderna, ma l’intento di fondo rimane quello legato al periodo tardogotico e rinascimentale, come appare piuttosto evidente dalla presenza del negozio “Chanel” in Piazza della Signoria, la massima espressione della rinascita artistica del XXI secolo, specchio della omonima avvenuta sei o sette secoli prima; un vero caso di “ritorno al futuro”.

Il pubblico fruitore e contemplatore della dimensione culturale è segnato da sottili cambiamenti, forse conferma della “Teoria dell’evoluzione di Darwin”. Piazza del duomo sembra svolgere una sorta di funzione calamita attraendo verso il centro questa “ nuova specie”. Questa si distingue dall’italiano medio grazie ad alcune differente nei connotati e, elemento chiave per l’individuazione, una variante dialettale impregnata di buffi suoni vocalici in cui la sillaba “chi” sembra essere l’unica distinguibile in un discorso. Sono loro che adesso detengono il ruolo di ricercatori della cultura, lo difendono dalla debole competizione italiana con scatti abbaglianti caratterizzati da onomatopeici click click e con opuscoli scritti con grafemi dall’interpretazione elitaria, sede di informazioni riservate all’insegna dell’esoterismo. Sono i normalmente definiti Giapponesi, chiamati anche “Jappo” o “Cincenzaus” a seconda delle varie interpretazioni. Grazie ad il loro numero esorbitante, che continua ad espandersi a macchia d’olio come una vera e propria pandemia, i risultati parlano chiaro: la competizione italiana pur giocando in casa, come dimostrano i punteggi, viene sconfitta resentando se non un senso di vergogna certamente un’ umiliazione giustamente meritata.

Volendo esprimersi sull’architettura cristiana di Firenze gli argomenti di dibattito sono ben pochi: risalta anche all’occhio di un miope che ha perso undici decimi la maestosità e l’imponenza dello stile gotico del Duomo in cui però la decorazione, a causa dell’affollamento di guglie, torrette ed archi a sesto acuto sovrapposti, risulta fin troppo elaborata, quasi un po’ pacchiana. Deludente invece è il confronto tra l’esterno e l’interno con ampi spazi vuoti, conseguenza di una tendenza cleptomane post rinascimentale. Non muta la grandezza dell’intento originario che, oltre alle dimensioni della struttura, è visibile dagli affreschi opera di grandi nomi, reali o “d’arte”, della storia fiorentina. Come in qualsiasi altra chiesa gli spifferi la fanno da padroni ed il freddo regna sovrano. Interessante notare i collegamenti temporali fra le opere e l’attualità: in questo contesto la Porta del Paradiso che riflette i raggi del sole con il suo colore dorato, divertimento per chi indossa lenti antiriflesso, si converte nell’origine dell’allora esistente tendenza di moda “truzza” e la torre adiacente al Duomo con il suo tris di marmi policromi, un toccasana per i daltonici, trova una reale somiglianza con una delle due defunte Torri Gemelle.

Un collegamento base, sperando sia tale, è quello di accostare Firenze con il nome di Dante, quello della “Divina”, inciso sulla moneta da due euro per intendersi. Il naso aquilino, la celebre corona d’alloro sul capo scolpiti in pietra a due passi dalla sua casa diventano le caratteristiche più additate da uno scalmanato coro di “Dante!”. “E’ lui!”, “Dantiuscio!” e così via. Una rapida occhiata, un’esclamazione d’obbligo ed il “biondo era e bello” ritorna fra le pagine di un cassetto mentale ermeticamente chiuso che si riaprirà solo in vista di una futura interrogazione, o nemmeno per quella. Un trattamento non dissimile lo ricevono le opere più gettonate della Galleria degli Uffizi, prima fra tutti “La Primavera” di Botticelli ampiamente conosciuta per il richiamo alla mitologia greca. Il suddetto coretto illumina, folgora con il suo spirito critico: “Che figo!” commento che se a prima volta sembra riferirsi al dipinto, ad un’attenta analisi suggerisce che Mercurio all’estrema sinistra ha trovato un pubblico di giovani ammiratrici fortemente interessante alla contemplazione estetica della sua figura. Oltre che ad un aspetto artistico e culturale, Firenze possiede un aspetto curiosa che porta al verificarsi di fatti singolari nel loro genere: flash improvvisi da dietro le spalle, probabile ricerca di una carica espressionista del movimento, e conseguente apparizione di foto con soggetti dalle bocche aperte, occhi chiusi, con la faccia stravolta da una lunga spiegazione teorica o da una sveglia mattutina alle sette e mezza. Segue il caso irrisolto del “sabato sera fiorentino” che pervade le strade di un senso di vuoto e spinge qualcuno a rifugiarsi nel primo pub che non sembri troppo squallido per bere uno strano liquido in cui il bailey’s si solidifica al punto da assomigliare ad un cervello, spendendo quindici euro nell’intento di acquisirne una quantità maggiore di quella già in possesso. Segue infine il celebrato ritrovamento delle chiavi di una camera d’albergo casualmente riapparse nel punto in cui tre millesimi di secondo prima c’era solo il colore uniforme della mattonella del corridoio. Il colore vivace degli orrendi cordoncini del portachiavi è infine servito ad un nobile scopo. Di fronte a questi misteri piuttosto che andare a ricercare la puzza di macchinazioni c’è chi pensa sia meglio gustarsi profumo e sapore di una fiorentina al sangue dallo spessore indefinito, conclusione che soddisfa sia il campo estetico che quello della lunga tradizione culinaria.

Simona Tamburri (3C)

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