Da quando sul Musinè non atterrano più gli ufo

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MusinèUltimamente, tutti parlano di Tav. Tutti noi pensiamo di sapere con esattezza che cosa sia e cosa comporterà per quanto riguarda l’attuale situazione economica italiana, per non parlare poi delle conseguenze sociali, ambientali e lavorative. Ognuno di noi può affermare con decisione di essere pro o no Tav, argomentando addirittura la presa dell’una o dell’altra posizione. Chi è pro Tav, esordirà allora citando il sito del Governo, su cui sono state pubblicate ben nove pagine in cui con quattordici domande e risposte, vengono spiegate tutte le ragioni per cui i cittadini italiani dovrebbero appoggiare tale opera. Secondo il Governo, infatti, questa nuova rete costituisce una componente essenziale del progetto europeo che ha come obiettivo la realizzazione di direttrici ferroviarie che attraversino tutta l’Unione Europea. Inoltre, questo sarebbe un ottimo investimento per il futuro del paese in quanto fornisce maggiore competitività, abbattimento delle distanze e prospettive per il futuro. Inoltre, nel dossier è specificato che proprio l’Unione Europea ha finanziato la progettazione e l’opera preparatoria della nuova linea Torino-Lione nel 2008 per 671milioni di euro; da poco è stato dato il via al sondaggio geognostico (analisi del territorio per ottenere le varie composizioni del suolo). A favore della realizzazione della linea ferroviaria, infine, si mette in evidenza il fatto che tutti gli ottantasette comuni francesi e la stragrande maggioranza dei comuni italiani non si sono opposti all’opera. Chi si oppone perché la realizzazione dei lavori lo danneggerebbe direttamente costituirebbe, secondo quanto affermato nel dossier del governo, una minoranza di seimilacinquecento persone. Così, in questi giorni si sono avviate le attività preliminari per la galleria della Maddalena, anche se i lavori veri e propri cominceranno nel 2013 e dureranno circa dieci anni. Questo vuol dire che duemila persone verranno direttamente coinvolte nella realizzazione dell’opera per tutta la durata dei lavori (quindi più occupazione), mentre i cantieri indurranno circa cinquemila occupati indiretti: insomma, società ed aziende avranno dieci anni di lavoro assicurato. Quando il servizio sarà operativo, esisteranno cinquecento posti di lavoro in più.
Ciò che però fa ancora più scalpore di tutta la faccenda inerente alla Tav, il movimento che si è creato per fermare i lavori, e dunque la realizzazione di tale opera. I mass-media ci riempiono da settimane di notizie che descrivono ogni singola manifestazione no Tav, riprendendo scenari di guerriglia e allo stesso tempo di civile e sana manifestazione che si alternano nella val di Susa. E se chi è pro Tav può fare affidamento sulle dichiarazioni ufficiali del Governo, che con quattordici ottimi (a loro parere) motivi difende la loro posizione, i no tav hanno stilato un fascicolo che di ragioni a loro favore ne contiene ben centocinquanta. Chi fino ad ora si è definito un no Tav, e probabilmente continuerà a definirsi tale, sostiene con decisione in questi centocinquanta punti del fascicolo che, riassumendo, i costi della realizzazione dai tale opera inutile equivalgono a tre volte quello per costruire il Ponte di Messina (altra grande opera di cui si è discusso parecchio). Tutto Ciò per far guadagnare una misera ora di viaggio a pochi passeggeri e senza alcuna utilità per il trasporto di merci ad alta velocità, in quanto sull’Italia non si è ancora abbattuta carestia alcuna, e i supermercati sono fortunatamente colmi delle proprie merci. Tra le schiere no Tav, inoltre, c’è chi, ben documentato, avrebbe da obbiettare alcuni dati forniti da coloro che hanno effettuato le analisi sul territorio, sostenendo che i risultati sono stati falsificati o addirittura nascosti, in quanto proprio nel tratto in cui avranno inizio gli scavi esistono alcuni evidenti problemi inerenti a fattori idrogeologici, per non parlare della presenza di sostanziose quantità di amianto e uranio. Altra ragione, forse la più ovvia ed evidente, è quella inerente al danno del paesaggio in termini di deprezzamento di quest’ultimo. Infine, i no Tav precisano che non sono contro lo sviluppo e l’innovazione, (del resto in Val di Susa passa già il 39% dei treni italiani) ma anzi propongono di modificare la linea sottoutilizzata del Frejus già esistente, pagando così molti meno soldi pur lasciando inalterato il territorio valsusino, così come lo abbiamo sempre conosciuto.
Insomma, entrambi gli schieramenti sembrano avere i loro buoni motivi per rimanere fedeli alla loro presa di posizione iniziale, senza raggiungere un confronto nel quale si possano ottenere dei dati certi per valutare la situazione in maniera squisitamente oggettiva. O almeno, così pare; sembra essere sfuggito a quasi tutti (mass-media compresi) che un dato oggettivo sulla Tav esiste eccome, e purtroppo non è per nulla confortante: negli ultimi trent’anni la Tav è diventata lo strumento perfetto per la diffusione della corruzione e della criminalità organizzata. Questa, ahimè, è una certezza giudiziaria storica più solida delle valutazioni ambientali e politiche, sia pro che contro. Il Governo Monti, quindi, dovrà necessariamente evidenziare questo problema che, anche volendo, non sarebbe capace di tenere nascosto, in quanto bisogna ammettere che al momento l’Italia non è in grado di attuare la più grande opera nazionale del post-guerra senza che sin dall’inizio si verifichino infiltrazioni di stampo mafioso. È un problema di sicurezza del sistema economico.
Ma come fanno le mafie ad imporsi in maniera efficace, vincendo sempre le gare d’appalto? Il sistema, ovviamente, non è più quello di puntare un fucile, bensì quello di offrire prezzi schiaccianti che sbaragliano la concorrenza. È noto a tutti, poi, che ormai la criminalità organizzata ha alcune delle sue più grandi sedi al nord, e, tramite curricula puliti potranno sfruttare l’enorme flusso di denaro destinato alla Tav per aumentare il proprio monopolio sul territorio, il potere economico e, di conseguenza, politico. Il metodo utilizzato per attuare tutto ciò, è quello di usare in maniera lecita soldi leciti. Ciò ci può far pensare al meccanismo finanziario già attuato dalle mafie per quanto riguarda le ricostruzioni del post-terremoto del 1980: la concessione. Questo sistema si sostituisce alle normali gare d’appalto in caso di urgenza dell’opera, e fa sì che non si realizzi un preventivo stabilito prima dell’inizio dei lavori, ma che la fatturazione totale si produca di pari passo con l’avanzare dei lavori. È facile intuire come tramite questo sistema, risulti estremamente più comodo e semplice per le mafie gonfiare i prezzi a dismisura. La soluzione? Non si pensi nemmeno lontanamente ai controlli delle imprese edili del Sud. Purtroppo non servirebbe assolutamente a nulla. Le aziende a stampo mafioso che operano al Nord ormai nascono, crescono e si affermano nel territorio, tenendosi in regola con tanto di certificato antimafia. Per scoprire la loro natura mafiosa in genere servono anni di indagini. Per quanto possa a molti sembrare una realtà inspiegabile, oggi abbiamo un’infinità di esempi concreti che provano in maniera inequivocabile la costante ed egemone presenza della criminalità organizzata nei cantieri italiani. Molte volte, poi, troviamo esempi legati proprio ad altre tratte ferroviarie ad alta velocità. I cantieri della Tav Napoli-Roma mostrano ciò che potrebbe succedere fra qualche anno in val di Susa: questi, aperti dal 1994, avevano un costo iniziale di 26.000 miliardi di lire, arrivati nel 2011 a 150 mila miliardi di lire. Indagini successive scoprirono che molte società appaltatrici erano legate a boss-imprenditori come Pasquale Zagaria. E volendo si potrebbero fare altre decine di esempi concreti come questo.
Bene, questo è lo scenario del periodo che si presenta ad accogliere la Tav in Val di Susa. Che la criminalità organizzata sia profondamente radicata ed operativa anche al Nord ormai è appurato, e che anche all’estero le varie organizzazioni criminali stiano approfittando della crisi per infiltrarsi nelle grandi opere statali, ottenendone così il controllo del sistema economico, è una cruda realtà che bisogna ammettere, ma anche saper combattere con i giusti mezzi. Bisogna rimanere e salvaguardare l’erario con il giusto sistema economico, e per fare ciò necessitiamo di una giurisprudenza che non si limiti a dare la caccia ai grandi boss (che è giusto, ma non sufficiente), e si spinga inoltre per scoprire e confiscare le immense casseforti criminali che agiscono in tutta tranquillità nei mercati internazionali.

Luigi Botta (3°C)

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