Guardai.
Mi limitai a guardare, l’amore o l’odio che pervadevano il mio cuore e la mia anima, che lordavano i miei pensieri fino a quel momento “puliti”.
Guardai quell’esempio di brutalità e ignoranza che i miei concittadini, i miei connazionali appresentavano … e mi accorsi che in fondo ero esattamente come loro.
Odiavo me stesso, mentre guardavo.
E non vedevo altro che carne e stupido dolore.
Dolore negli occhi scuri di persone scure.
Carne da macello color caffè.
Distese di donne, uomini e bambini smagriti fino a diventare l’ombra di se stessi. Poi guardai i miei abiti: eleganti, di fattura perfetta, inamidati. Anche le mie unghie pulite, le mie scarpe lucide e i capelli finti, cotonati, in ordine.
E guardai loro: senza capelli, senza vestiti, senza scarpe.
Senza un nome.
Senza umanità.
No, quella no: piuttosto eravamo noi ad essere animali grezzi e stolti, e loro creature umane.
Eravamo noi le scimmie, e loro gli uomini.
Noi gli schiavi, loro i signori.
Capii di essere dannato ancora prima di morire. Capii di dover fermare quel … quel traffico d’anime.
E subito.
Così mi adoperai per tutta la vita a combattere la tratta degli schiavi guidata dalla mia madre patria: l’Inghilterra. Proprio lì, riuscii ad abolirla, così come anche in Francia e in America … e ne morii.
Tratto da “Il diario di ………”
Giulia Beltramino (3B)