Occhiaie profonde e voce rauca sono i connotati propri di chiunque, eccetto il magnifico rettore, si aggiri a Palazzo Nuovo. Sono i volti di chi esce dall’occupazione con blocco della didattica di Palazzo Campana, sede storica delle rivolte sessantottine, e per quattro giorni risorta, popolata non solo dagli habitué matematici, ma da studenti ,ricercatori e persino qualche docente, sia dell’unito che del poli, in un susseguirsi di assemblee, cineforum, gruppi di lavoro, cene popolari e improvvisate jam session notturne.
Una mobilitazione, quella di queste settimane torinesi e non , che non comincia il 17 novembre, giornata mondiale per il diritto allo studio, nonché data di insediamento nella facoltà di matematica, ma ha radici nell ‘onda del 2008, l’anno in cui si parlò per la prima volta dell’ormai noto quanto combattuto DDL Gelmini, la famosa riforma del sistema scolastico italiano, dalle elementari all’università.
Ed è proprio così che riporta uno degli slogan gridati a gran voce, quella poca che resta, del corteo spontaneo, non autorizzato, richiesto con insistenza dall’ assemblea interfacoltà riunitasi nel corridoio centrale di palazzo nuovo: ‘DALL’ELEMENTARI ALL’università ,CI BLOCCANO IL FUTURO, BLOCCHIAMO LA CITTA’!’.
Un assemblea che ha invaso tutta la struttura, durante la quale ogni intervento era ascoltato con attenzione, e rabbia, e consapevolezza. Ciascuno ha espresso il proprio dissenso verso la degenerazione di una non-riforma , che distrugge il futuro, che annulla il principio del diritto allo studio, che lega le mani a chiunque voglia fare ricerca, e che infine riduce il luogo di cultura per eccellenza a un club esclusivo, un privè per pochi eletti, figli di eletti. Ma come si ribadisce da tempo, la battaglia di noi studenti per una scuola e un’ università pubblica, laica, democratica, partecipata non è isolata. È una lotta per la rivendicazione di ciò che è pubblico, e che pian piano ci viene tolto, a partire sì dalla scuola, ma sullo stesso piano del lavoro non precario, dei teatri e cinema, dei trasporti, della sanità che continua a subire tagli spropositati fino ad arrivare a un bene essenziale come l’acqua. E con tutta l’indisponibilità derivante dal non accettare tutto questo, dal non piegarsi di fronte allo smantellamento dei beni comuni, i ricercatori della rete 29 aprile si sono stabiliti sul tetto della facoltà di lettere e filosofia, e animati dallo stesso sentimento gli studenti hanno inaspettatamente bloccato il traffico di via po, piazza castello, via roma, per concludere in un presidio sui binari di porta nuova, rimanendo coerenti con gli slogan del blocchiamo la città.
Ogni cittadino deve sapere, tutti devono conoscere che razza di mondo è quello che noi giovani andiamo ad abitare. Non si può restare fermi, nella vana speranza che la gente s’informi: bisogna scendere per strada, creare disagio, impedire le attività, perché le conseguenze sarebbero in ogni caso più gravi di qualunque ritardo di treno o bus che sia. Ora la protesta continua a Palazzo Nuovo occupato, con l’auspicio che altre sedi prendano esempio, e che il movimento si dimostri davvero trasversale come ci si è proposti.
Per ora si rimane in attesa, ma non per questo immobili: comunque andrà giovedì, giorno in cui il disegno di legge sarà riproposto alla camera, ‘ciascuno di noi potrà guardarsi allo specchio, fiero di aver fatto di tutto , con ogni mezzo disponibile, per evitare il peggio’, e senza dubbio, con questi presupposti non ci vinceranno, saremo ancora liberi di solcare il mare, come sostiene il collettivo bolognese wu ming.
Gemma Nicola (5D)