Italia-Polonia. Due stati. Due licei. Uno scambio. Quaranta ragazzi. Flash, fermo immagine. Aguzzate la vista. Queste due vignette si differenziano per nove piccoli particolari. Quali?
Guardateli bene. Metà su un treno e metà che lo rincorre mentre accelera e se ne va. Ora riavvolgiamo il nastro a un mese prima, prima che le loro vite s’incrociassero. Da una parte una classe di un liceo di Torino, unita e forte, stile grande famiglia felice e dall’altra una ventina di ragazzi che frequentano la stessa scuola, che magari non si sono mai parlati, tutti interessati e curiosi per i ragazzi italiani che stanno arrivando.
Trovata? Prima differenza.
Scena due, ognuno nella propria famiglia… tutti con qualche problema a capire chi sia della famiglia in senso stretto, chi un lontano parente, chi un vicino di casa venuto a vedere la novità, tutti felici, cordiali e molto ospitali – anche se non nella propria casa.
Stessa scena, lontano sia nel tempo che nello spazio, più o meno tre persone: una madre, magari una sorella o un fratello e un padre ancora in ufficio, stesso clima sereno e curioso. Ecco, siamo a due.
Ora andiamo avanti veloce, guardate il paesaggio fuori dai finestrini: tutto piatto e marroncino, umido con un aria malinconica e affascinante; molto diverso dalle alte Alpi innevate o dalle verdi colline toscane. E’ un paesaggio che sembra vuoto e silenzioso in cui si muovono veloci esseri invisibili che ammaliano.
Pausa! Ecco… cercavo proprio questo momento… la mattina, la colazione e il sacrosanto caffè. “Do-you-want-coffee?” Certo, che domande, caffè… agli italiani brillano gli occhi … ora immaginate una signora sorridente che prende due tazze, ci mette due cucchiaini di polvere di caffè (NON SOLUBILE), ci versa sopra due litri d’acqua e le dà a due ragazze incredule che durante quei secondi hanno perso dieci vite e che, con un sorriso tirato, prendono le tazze.
State tenendo il conto? Siamo a quattro.
Per rimanere in tema… La cena (6.30 pm), un piatto di zuppa di cavolo, uno di cereali bolliti con il cavolo e un bicchiere di succo di frutta (forse questa è la differenza più evidente). Poi si esce (7.00 pm) si va in un locale (l’unico), si gioca a biliardo e a freccette e tardi si torna a casa (9.00 pm).
Avanti veloce, play. Italia. Una scuola in un vecchio edificio, silenziosa e piena di porte con scritto: 4^A, 1^F, 2^B, 3^C, 5^D,… E per uscire quaranta firme, duecento circolari e uno scanner ottico; dall’altra parte basta dire al primo che trovi: “Io esco”, in polacco ovviamente. In polacco… Gli italiani hanno imparato quattro parole: ciao, grazie, puzzi e dammi il cinque. Per fortuna i polacchi l’inglese lo sanno e lo sanno – chi più chi meno – anche bene.
Quaranta ragazzi e quattro professori che tutto sommato si sono capiti: ascoltate l’audio… Parole confuse, italiano, inglese, suoni strani, polacco, latino… Sì, latino, anche latino, perché lì si studia come se fosse spagnolo o francese.
Un’ ultima cosa: se ascoltate bene sentirete un ragazzo polacco dire, camminando per via Po, a uno degli innumerevoli incroci: “Voi italiani siete proprio strani… Quando il semaforo è rosso passate tranquilli e quando è verde vi fermate e pensate se passare o meno…”
Avete visto? Siamo a nove crocette, su nove piccoli particolari che fanno di queste due vignette, due stati diversi. Soddisfatti? Il gioco è completato.
Ora, se avete ancora un momento, fermatevi a pensare… Togliete tutto… Togliete il cavolo, togliete il “caffè”, i semafori, la lingua, gli orari, il paesaggio… Tutto. Togliete tutto. Lasciate solo quei quaranta ragazzi: stesso entusiasmo, stessa curiosità, stessa matta voglia di vivere. Alla fine sono poi due vignette tanto diverse?
Maria Perotto (3C)