All Blacks vs Italy- L’Italia e la “palla ovale”

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La mitica Haka neozelandese

La mitica Haka neozelandese

Nel regno che è stato di Ibrahimovic e Kakà, domenica 13 novembre 2009 si è disputata la partita del secolo. In un tempio del calcio dove, per una volta, la palla cambia  forma.

Lo stadio Meazza di Milano presto si è riempito di studenti, donne e bambini che, stretti alla mano del papà, hanno atteso con ansia l’inizio della partita.  Gli All Blacks non si sono fatti attendere troppo e, accompagnati da un rock duro decisamente contrastante con i Carmina Burana degli italiani, sono entrati in campo pronti per ricevere gli applausi del pubblico.

Dopo i due inni nazionali di rito, è arrivato uno dei momenti più attesi di ogni pre-partita dei neozelandesi: la mitica Haka, un rituale ormai diventato patrimonio dell’umanità e, senz’altro,  unica tradizione  aborigena  che il popolo italiano conosce (chi grazie a pubblicità chi per puro caso).

Ed è così che tra urla, tensioni e speranze il nostro paese ha fatto amicizia con la squadra più prestigiosa del rugby mondiale, forse non la più titolata ma certamente la più ricca di fascino, quella che è in vantaggio negli scontri diretti con tutte le altre nazionali del pianeta, quella che da sola significa rugby, quella che rappresenta un marchio di dimensioni mondiali, quegli All Blacks che valgono il Real Madrid o il Manchester United, la Ferrari o i New York Yankees.

La gente, per la prima volta, ha scoperto che il pallone è divertente anche se non è rotondo e riesce ad avere la meglio un gioco di squadra, dove per andare avanti devi essere sostenuto da tutti e allo stesso tempo devi riuscire a sostenere tutti.

Gli ottantamila e quattordici spettatori questa volta hanno deciso di premiare un’altra ricetta, quella dell’etica, dello spettacolo della forza e della leggenda. Hanno deciso di premiare uno sport in cui viene oscurata la bravura singolare, e nel quale alti, bassi, magri o grassi non fanno differenza, basta spingere per andare avanti. Forse questa partita è  l’immagine di un’Italia stravolta che cerca di ricominciare da capo, tornare un po’ indietro, o forse è semplicemente l’Italia che si apre alle novità, l’Italia che si apre ad uno sport nel quale i giocatori non devono essere fatti con lo stampino e dove ogni metro deve essere conquistato.

Il tutto, in poche parole, per un match amichevole. Anche se di amichevole, nel rugby, al massimo c’è il terzo tempo.

Maria Basso (3F)

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