Gli studenti sono facili da catalogare: si può intuire al primo colpo chi ha passato la notte in bianco a studiare, chi in classe preferisce limarsi le unghie che seguire, chi ha un’immancabile intraprendenza, un’incrollabile forza di volontà e tanta fiducia in sé stesso e chi sarebbe capace di mollare tutto, partire e distinguersi anche in un Paese straniero, in altre parole chi sarà o è stato un cosiddetto exchange student.
L’exchange student (letteralmente “studente di scambio”) potrebbe essere un qualsiasi studente che non vuole accontentarsi del solito corso di studi liceale, bensì desidera allargare i suoi orizzonti a nuove, emozionanti, prospettive. Questa stessa aspirazione, però, lo obbliga a distinguersi e impegnarsi più di tutti gli altri per raggiungere il suo scopo. Un programma di scambio, infatti, richiede una marcia in più, buoni voti a scuola e dei genitori generosi. Non è sempre facile per mamma e papà, infatti, né dal punto di vista economico, né tanto meno da quello affettivo, lasciar partire il proprio figlio, ma cosa non si farebbe per il suo bene? Un soggiorno di studio all’estero non è una vacanza, né una fuga dalla propria realtà, ma è l’occasione di una vita per comprendere a pieno la quotidianità di un Paese straniero, impararne la lingua e gli usi, fare nuovi incontri e nuove esperienze.
L’exchange student normalmente trascorre all’estero un periodo che va dai tre mesi all’intero anno scolastico (dieci mesi circa). Egli sceglie la lunghezza del programma e il Paese di destinazione, dopo di che non può far altro che aspettare. Il ragazzo aspetta per giorni, per settimane, per mesi, alcune volte aspetta fino all’incombere della sua partenza … Che cosa aspetta? Di essere scelto.
Una volta stipulato il contratto, l’exchange student imbusta in un fascicolo la sua intera vita: scheda medica, situazione economica, dati scolastici, una lettera personale e alcune foto. L’associazione di scambio si occupa di far circolare questo fascicolo nell’intera nazione prescelta, facendolo passare da una famiglia ospitante a un’altra, finché il ragazzo non verrà scelto. Esatto, è la famiglia a scegliere lo studente da un catalogo contenente tutte le schede di presentazione disponibili. Il procedimento ricorda un po’ le fasi degli acquisti online e come ogni interazione avvenuta sul web, l’agognata notizia arriva con una e-mail contenente una riga di congratulazioni, due nomi e una decina di colonne di dati che descrivono l’imminente futuro dell’intraprendente ragazzo.
La famiglia è definita volontaria perché ospita gratuitamente l’exchange student, aprendo le porte di casa sua e del suo cuore a un nuovo membro. Essa è caratterizzata da grande generosità, dall’interesse nei riguardi di una diversa cultura e dallo scopo di diffondere la propria.
È con la nuova famiglia che l’avventura dell’exchange student ha inizio. Lo studente è eternamente grato per l’ospitalità riservatagli e vive nel perpetuo terrore di deluderla, fin dalle prime indecisioni su come sarebbe più appropriato chiamare i propri genitori: mamma e papà, mamma e papà ospitanti, o Sarah e John? Questo problema sparisce del tutto a scuola, dove, non potendo ricordare nemmeno un singolo nome, ma solo le facce dei suoi nuovi compagni, l’exchange student appella tutti con un generale “Hey”. I primi giorni, infatti, egli viene preso d’assalto da tutti i suoi nuovi compagni, dai professori e persino dalle cuoche della mensa, persone ospitali e amichevoli sinceramente interessate a conoscere la sua storia o almeno così crede lo sprovveduto. In realtà dopo aver conosciuto il suo nome, da dove viene e quando se ne andrà, la curiosità dei nuovi amici svanisce e con lei la loro presenza. L’exchange student rimane con la profonda convinzione di essere vicino alla popolarità, avendo stretto così tante mani sconosciute, eppure non riesce nemmeno a salutare per nome i suoi cosiddetti amici. E allora ogni giorno diventa una sfida per la sopravvivenza nello spaventoso mondo delle relazioni interpersonali tra adolescenti. Fortunatamente però il nostro studente è stato sottoposto ad un allenamento psicologico formidabile con il solo intento di farlo diventare il più amabile, attivo ed estroverso ragazzo sulla faccia della terra, quindi egli sa bene quali armi usare: sorridere, interloquire il più possibile, non dire mai di no. Se questi metodi hanno funzionato nell’adescamento della famiglia ospitante, non hanno lo stesso effetto con apatici teenager che pensano solo ai fidanzati o allo sport. L’exchange student scopre ben presto che le amicizie si formano in tutto il mondo nello stesso modo: spontaneamente. Egli attira l’attenzione parlando di sigarette e alcool (“perché in Italia per legge si può”) e poi diventa amico di quegli ascoltatori suoi coetanei, magari della stessa classe, che condividono i suoi interessi. Questi gli insegnano a divertirsi in un nuovo modo, in un nuovo mondo, senza discoteche né vodka. Gli fanno scoprire il drive-in, il bowling e i party con la birra clandestina. Anche se il luogo più socialmente attivo rimane la scuola con le sue assemblee generali, le partite di football, gli allenamenti sportivi quotidiani.
Più l’exchange student è impegnato in giro, più si sente un ragazzo normale e non un “fuori casta”. L’exchange student tra le pareti domestiche, infatti, potrebbe essere paragonato a un bebè: è dipendente da qualcuno per ogni suo spostamento, conosce poche parole che mette insieme a stento, mangia tanto e dorme anche di più. Egli è, per natura, una creatura onnivora che necessita dalle 2000 alle 2500 calorie giornaliere divise in tre pasti principali, e di otto ore di sonno notturno. Eppure il cambiamento di habitat lo rende capace di divorare qualsiasi cosa, in qualunque ora del giorno, ininterrottamente, e di dormire senza problemi dodici ore consecutive. Lo studente è irrimediabilmente destinato a un incremento del proprio peso corporeo del 15% circa.
Ma essere adulti non significa soltanto poter guidare, bere alcolici o dormire poco, consiste anche nell’essere responsabili delle proprie cose e il povero exchange student è costretto a impararlo in fretta. Senza mamma o nonna attorno, egli fa il suo bucato, lo asciuga e lo stira, pulisce la sua camera e il suo bagno, fa gli acquisti di cui necessita, a volte addirittura cucina. È la nostalgia di un bel piatto di pasta al dente che lo spinge a passare molto più tempo di fonte ai fornelli, cimentandosi in piatti tipici italiani mai preparati prima, fingendosi un esperto, con la scusa di diffondere le sue tradizioni culinarie. La verità è che l’exchange student cerca tracce del suo Paese d’origine ovunque, è inevitabile il continuo confronto tra le due nazioni, e per quanto egli si stia innamorando della sua nuova vita, non può che imparare ad apprezzare, adesso che è lontano, le qualità che non ha mai riconosciuto alla nativa Italia. Mano a mano i suoi pensieri diventano in inglese, ma continuano ad essere a proposito degli amici italiani; gli piace la facilità con cui può affrontare la scuola, ma non può parlare coi nuovi compagni di latino o filosofia; è cresciuto e indipendente, ma gli manca essere il bambino dei suoi genitori. Questo perché l’exchange student ha ora due nazionalità, due identità, due famiglie, ma un solo cuore, che è diviso a metà tra due luoghi da chiamare ‘casa’.
Melania Yaya Dho (4B)