A settembre i social network sono stati letteralmente inondati da post riguardanti l’ennesimo caso di denuncia per stupro di quest’anno.
Ma cosa c’è di diverso questa volta?
Lei si chiama Christine Ford ed è professoressa di psicologia all’università di Palo Alto (California); lui è Brett Kavanaugh, giudice associato della Corte Suprema degli Stati Uniti d’America.
La carica di giudice associato è attualmente riservata a soli otto uomini, nominati direttamente dal Presidente e confermati dal Senato degli Stati Uniti, e che, se ciò non vi sembrasse abbastanza, restano in carica a vita. Insomma, fare causa a un personaggio del genere avrà richiesto molto coraggio alla dottoressa Ford.
Ovviamente Kavanaugh, forte dell’appoggio dei suoi sostenitori e di quello del Presidente, ha subito smentito con forza definendo le accuse “calunnie dell’ultima ora”.
Quello che forse non aveva immaginato però è che, nelle 24 ore successive alla prima denuncia, altre tre donne hanno deposto contro di lui, cosa che ha fatto vacillare la fiducia di Trump.
Diverse sono le opinioni in merito: c’è chi si schiera a spada tratta in difesa della Ford e chi invece prende le parti del giudice; ma, indipendentemente dalle fazioni, una domanda sorge spontanea: perché denunciare proprio ora?
Forse la denuncia, fatta trent’anni dopo l’episodio, non è altro che una strategia politica volta a colpire il giudice nel momento culminante della sua carriera. Tuttavia, per farsi un’idea è importante conoscere tutti i retroscena.
Ai tempi del liceo i due avevano amici in comune e, durante l’estate del 1982, si incontrarono a una festa.
La dottoressa racconta di essere stata spinta in una stanza dall’uomo che ha successivamente cercato di svestirla, tappandole poi la bocca per soffocare le sue urla. E’ stato proprio quest’ultimo gesto, a detta di lei, ad avere il più grande impatto sulla sua vita e a tormentarla negli anni seguenti.
Un altro aspetto interessante della faccenda è la differenza di comportamento tenuto dai due durante la deposizione: la dottoressa Ford è stata esaustiva nella descrizione di quello che ha definito il giorno peggiore della sua vita, approfondendo ogni dettaglio senza mai scomporsi; invece il signor Kavanaugh ha perso il contegno dopo pochi minuti dall’inizio della sua testimonianza, scoppiando in quello che molti hanno definito “un finto pianto isterico”.
Bisognerebbe però riflettere su quante volte ci siamo sentiti ripetere, durante la campagna elettorale di Hilary Clinton, che le donne sono troppo emotive per assumere posizioni di rilievo. Si pensi a cosa sarebbe successo se fosse stata la dottoressa Ford a perdere il controllo e a scoppiare in lacrime, si provi anche solo a immaginare tutti i modi in cui sarebbe stata denigrata.
E’ difficile mettersi nei suoi panni e immaginarsi vittime, ma trovarsi davanti all’uomo che le ha rovinato la vita e avere il coraggio di affrontarlo e di ripercorrere con la memoria quegli attimi di sofferenza dev’essere stato tutt’altro che facile. Se poi si prendono in considerazione tutte le conseguenze a cui Christine sapeva di andare incontro, il suo gesto appare ancora più eroico e degno di nota. Per tutti questi anni ha condiviso la sua storia soltanto con il suo terapista e con i suoi amici più stretti ma, vedendo comparire il nome del suo aggressore fra quelli dei possibili giudici associati, il suo senso del dovere l’ha spinta a superare la paura e a denunciare l’accaduto.
Purtroppo ora ha dovuto cambiare casa, portando con sè marito e figli, nonché assumere personale di sicurezza specializzato per difendersi dai più accaniti sostenitori di Kavanaugh.
Quella della Ford è stata seguita da altre tre denunce di stupro da altrettante donne – una delle quali ha preferito rimanere anonima: in seguito a ciò persino l’appoggio del presidente Trump ha vacillato; egli ha infatti affermato che è pronto a ritirare il suo appoggio al giudice qualora queste altre accuse dovessero rivelarsi veritiere.
Per tutti questi anni, la donna non ha denunciato per vergogna, per non mettere in pericolo la sua famiglia o semplicemente per non dover ripercorrere con la mente quel trauma; ma ora la sua grande prova di coraggio ha aiutato altre persone a farsi avanti e a smettere di vivere nella paura.
Lo stupro è sicuramente un’esperienza tragica, che nessuno dovrebbe mai vivere, dunque impariamo ad alzare la voce e a non violare mai la libertà di qualcun altro.
Jacopo Sulis e Giulia Vigoriti