Negli ultimi anni negli Stati Uniti si è assistito a un enorme incremento nel numero di armi in circolazione: secondo i dati più recenti, su 330 milioni di abitanti sono presenti quasi 390 milioni di armi da fuoco. Per capire meglio perché la cultura delle armi sia così radicata nel Paese, bisogna tornare indietro nel tempo. Nel 1791, infatti, all’indomani della nascita degli Stati Uniti d’America, entrò in vigore la legge che ancora oggi regola il possesso privato di un’arma: il famoso Secondo Emendamento, il cui testo non lascia dubbi d’interpretazione “essendo necessaria alla sicurezza di uno Stato libero una ben organizzata milizia, il diritto dei cittadini di detenere e portare armi non potrà essere infranto”. Questo rende bene l’idea di come negli Stati Uniti il diritto al possesso di armi sia considerato un diritto fondamentale e inviolabile, quasi al pari del diritto di voto e di libertà di parola. Il Secondo Emendamento, come altri emendamenti della Costituzione americana, è però una conseguenza delle occupazioni europee del continente americano, avvenute in un periodo nel quale le armi erano l’unico strumento con cui difendere case e famiglie e che ha caratterizzato la rivoluzione americana per l’indipendenza dall’Inghilterra, in cui a combattere furono chiamati proprio i privati cittadini. E meno di un secolo dopo, gli Stati Uniti dovettero affrontare un’altra guerra, quella di Secessione, combattuta questa volta tra “fratelli” ma sempre su principi ideologici condivisi a proposito del possesso di un’arma.
Nel ventunesimo secolo, tuttavia, quale motivo hanno gli americani di affidarsi ancora al Secondo Emendamento che, dal punto di vista di noi europei, non fa altro che far aumentare il rischio di una violenza difficile da gestire? In realtà, in molti americani c’è il desiderio di una regolamentazione più stretta sul possesso di armi da fuoco, ma la potenza della lobby industriale legata al settore e il parere di influenti politici conservatori rallentano di molto un eventuale cambio di rotta. Un passo avanti è stato fatto proprio quest’anno, il 30 luglio, con il rinnovo della legge che vieta la vendita dei fucili d’assalto, passato però alla Camera con uno scarto minimo di voti, 217 contro 214. All’indomani del voto la speaker della Camera Nancy Pelosi ha affermato che “è stato fatto un passo cruciale nella lotta contro l’epidemia mortale della violenza armata nella […] nazione”. Meno contenti si sono invece mostrati i maggiori esponenti delle forze conservatrici e delle lobby delle armi, che hanno parlato di “attacco contro la libertà dei cittadini”.
Un ruolo cruciale nella libera circolazione di armi negli Stati Uniti é svolto dalla National Rifle Association (NRA), una delle associazioni più potenti della nazione per la quale vengono stanziati ogni anno 250 milioni di dollari. Il ramo lobbistico della NRA è in grado di influenzare le elezioni nel Paese e versa in media 4 milioni di dollari annui per programmi politici e deputati, senza tenere conto di tutti i soldi spesi in donazioni non ufficiali e difficilmente tracciabili. L’enorme potere politico ed economico della NRA riflette quindi le proporzioni del mercato statunitense degli armamenti . L’importanza e l’autorità di questa associazione sono inoltre consolidate dalla presenza di oltre 5 milioni di membri, tra i quali figurano molti volti noti della scena politica e non solo, come ad esempio gli ex presidenti George W. Bush e Donald Trump.
L’idea degli americani riguardo le armi da fuoco, quindi, rispecchia all’incirca la divisione bipartitica che si confronta ad ogni tornata elettorale e che a grandi linee rappresenta metà della popolazione favorevole a misure di controllo più strette e un’altra metà che invece le vorrebbe addirittura più larghe. Bisogna inoltre specificare che molti americani, nonostante siano favorevoli a restrizioni più severe, non mettono in discussione il Secondo Emendamento in quanto tale. Sembra un paradosso, ma può essere che per tanti statunitensi quello di poter possedere armi è sì un diritto inviolabile, ma riservato a chi ha i requisiti per poterlo sfruttare (fedina penale pulita, verifiche psico-attitudinali, ecc.) Insomma, quello degli Stati Uniti è un problema dai risvolti psicologici, sociali, politici ed economici, al quale non si presenta una soluzione facile, ma che, per essere risolto, obbligherebbe a un radicale cambio di mentalità di buona parte degli americani.
Jacopo Lupieri