In America, il capodanno è una festa come tutte le altre. Infatti, per quanto il capodanno a New York sia con tutta probabilità uno dei migliori in assoluto, è quasi solo durante gli anni del college che questa notte assume una certa importanza. Per molti, non è neanche una festa, è una serata come tutte le altre, in cui, al posto di andare a letto alle dieci, si prepara un bel caffè, si fa uno sforzo e si tira la mezzanotte. Se si è in compagnia, tanto meglio. Almeno non ci si addormenta prima. Una bottiglia di Champagne? Non sembra necessaria. Cioè, se la si trova in casa, ben venga. A mezzanotte e uno però tutti a nanna ché, nonostante il caffè, gli occhi si chiudono e domani c’è chi lavora. Niente scherzi, anche se forse il giudizio è un po’ di parte se fornito da una teenager italiana appena snobbata dall’unico festino noto in paese.
In Italia, invece, la notte di capodanno è una notte speciale. Innanzitutto, non si può non festeggiare, è per così dire un obbligo. Inoltre, per quanto come ben si sa, spesso la decisione definitiva non avviene che nei pochi giorni o nelle ore che precedono la gran serata, i primi pensieri svolazzano nelle teste italiane fin dagli ultimi di novembre. Mentre le menti stanche dal lavoro e dalla scuola cercano di farsi avvolgere dalla magia natalizia, tra una conversazione e l’altra, c’è sempre spazio per la semplice e comune domanda: “e a capodanno, che si fa?” Insomma, gli Americani lo chiamerebbero “big deal” ed è meglio arrivarci preparati. In particolare se si è nella giovane età, ma non solo, il capodanno è un’occasione per fare qualche stupidaggine con gli amici (a capodanno tutto è concesso, no?), bere un po’ troppo e dimenticare ogni problema, per una notte.
Anno nuovo, vita nuova. Ma chi si vuol prendere in giro, tutti sanno che il maggior cambiamento sarà qualche errore in più nel scrivere la data in alto a destra, prima di un compito in classe. Ma, dopotutto, non è bello sperarci per una notte? Alla fine, è ciò che un po’ tutti gli Italiani fanno. Proprio tutti, anche quei grandi oratori che immancabilmente ricordano su ogni social network che tra il 2012 e il 2013 non c’è che la differenza di un numero. Pure loro, esattamente come gli altri, si aprano le scommesse, almeno un momento durante la serata, nottata o mattinata successiva, si son fermati a pensare al loro passato e al loro futuro.
Il bilancio dell’anno ormai concluso è per tradizione e logica il primo passo. All’improvviso si forma una gran bolla mentale di ricordi sparsi, disordinati flashback di momenti felici e tristi, alti e bassi dei 365 giorni ormai passati. Poi, d’un tratto, tutto prende un suo ordine, in attesa del giudizio finale. Se positivo, tocca bere per festeggiare. Se negativo, si beve per dimenticare, per non pensarci per una notte e per esser pronti a ricominciare, la mattina dopo.
Si brinda. Ed ecco che arrivano i buoni propositi. Il primo, si sa, è spesso la dieta, quella che inizia sempre domani. A seguire, i soliti propositi sul lavoro, la scuola, il fidanzato, la palestra, la chiesa. Poi c’è quello personale, perché ognuno ha il suo proposito, piccolo o grande che sia, la propria speranza per l’anno nuovo. Ecco, la parola chiave: speranza. Gli Italiani sono un popolo di sognatori, anche se a modo loro.
Niente a che fare con l’ “American dream”. Il duro lavoro e la forza di volontà son le chiavi per raggiungere i propri obiettivi e realizzare i propri sogni. Questo è ciò che si legge, in parole più o meno diverse, su all’incirca ogni muro di una scuola americana. Per render l’idea, in accordo con il motto statunitense, anche il ragazzo più negato della squadra di basket, allenandosi tutti i giorni, senza sosta e con la passione e concentrazione necessaria, avrà la sua occasione di diventare Michael Jordan. In America, si crede nella possibilità di realizzare i propri sogni, sogni concreti, anche quelli più impossibili. E forse sul serio, in America, quella possibilità c’è, ma in Italia no, non la si pensa così. Se non si è portati, forse è meglio lasciar stare. Non sempre l’impegno viene premiato, anzi. Spesso le cose si ottengono per fortuna o raccomandazione. Essere svegli poi torna sempre utile, forse anche essere un po’ furbi. Le armi migliori, però, rimangono la retorica e l’eloquenza, che garantiscono un quasi sicuro successo. In molte situazioni, infatti, è più importante cosa si dice di cosa si fa, e ancor più importante è come, lo si dice. È brutto da ammettere, ma tristemente vero: in Italia funziona così. Le eccezioni ovviamente non mancano, e spesso la gente non condivide neanche questi, per così dire, “ideali”, ma in qualche modo li accetta, come se il mondo funzionasse così, senza alternative. O perché forse non vale la pena di cambiare le cose, è troppo difficile provarci per poi magari rischiare un insuccesso. E si è di nuovo al punto di partenza.
Gli Italiani sono cinici. E anche un po’ pigri, a dirla tutta. Ma ciò non significa che non sognino. Gli Italiani sognano nei nuovi inizi, nel ricominciare.
Un ragazzo che a diciassette anni decide di lasciare il proprio paese per vivere sei mesi o un anno all’estero, in qualche modo, sogna di ricominciare. Ha scelto un nuovo inizio che lo metterà alla prova.
L’Italiano che, rimboccate le coperte e passati in rassegna tutti i problemi e le preoccupazioni, si consola pensando che domani è un nuovo giorno, che le cose cambieranno, perché si può sempre cambiare e ogni giorno è un nuovo inizio, ecco, quell’Italiano forse non ci crede veramente, ma sta sognando, sogna una svolta. Il ventenne che ripete che vuole partire, lasciare tutto e scappare da questo paese senza lavoro e senza futuro, ecco, quel ragazzo probabilmente non partirà, ma sta sognando, sta sperando in una nuova vita, una vita che, chissà, forse un giorno otterrà. Vanno di autoconvinzione, si potrebbe dire, perché gli Italiani, si sa, son bravi a parole, anche quando si tratta di convincere se stessi. Ma è il loro modo di tirare avanti. È difficile crearsi un nuovo inizio, come quasi impossibile ricominciare da capo. Ciò che si è e ciò che si è stati comunque rimarrà, ma si può sempre sperare in una svolta, in un cambiamento. Sicuramente è bello crederci.
Anche perché in Italia non è come in America, dove si nasce in California, si studia a Chicago, si lavora a New York, si sposa un Texano e, chissà, verso i 50, dopo il divorzio e qualche missione ad Haiti, ci si innamora di un Giapponese e ci si trasferisce oltreoceano. In America, le svolte vengono in qualche modo da sole, fin dalla nascita si è segnati da cambiamenti inevitabili, a partire dal college, quasi sicuramente lontano da casa. La vita di un Americano è infatti già di per sé divisa in porte che si chiudono e si aprono continuamente, in diverse fasi con un inizio e una fine già designata.
In Italia, le occasioni vanno cercate, i cambiamenti vanno scelti e resi tali. Non arriveranno mai da soli. Ed è per questo che gli Italiani credono al capodanno, hanno bisogno di metter fine a un anno ed iniziarne uno nuovo. Hanno bisogno di mettere ordine, di chiudere un ciclo e cominciarne un altro. E soprattutto hanno bisogno di sognare. Per quanto si dicano scoraggiati, è la speranza che dà agli Italiani la forza di andare avanti. E, a volte, è bello sperare anche solo per il semplice gusto di farlo. Basta pensare al capodanno stesso, che risulta spesso la serata più bella dell’anno. Ma lo diventa solo se lo si rende tale.
Come dice uno dei più grandi cantautori italiani di sempre: “vedi caro amico, cosa si deve inventare, per poter riderci sopra, per continuare a sperare? (…) L’anno che sta arrivando, tra un anno passerà. Io mi sto preparando,è questa la novità”.
Martina Vanelli (4B)