Alice correva nel prato costellato di funghi giganti e rosse foglie cadute che le avrebbero fatto comodamente da lenzuolo.
Dietro di lei il Bianconiglio la braccava, un’aria assatanata negli occhi e un pugnale insanguinato in una zampetta.
Il suo gilet, normalmente inappuntabile, adesso era tutto strappato per i rovi, la catenella con l’orologio si era spezzata, rimanendo penzoloni dal taschino.
Correvano rapidamente tra valli deserte ed enormi giardini variopinti, dove il mondo sembrava rovesciato. Alice non aveva il fiatone, correva tranquillamente, le gambe non davano segni di fatica.
Il Bianconiglio, invece, sbavava dalla fatica e si teneva una zampa sul petto, come se i polmoni dovessero scoppiargli da un momento all’altro.
Poi si fermò e si accasciò al suolo, vicino ad un fungo giallastro e un fiore rosso geranio.
Alice lo osservava da lontano, intimorita. Aveva riconosciuto la specie di fungo: era quello che se ne mangiavi un pezzetto diventavi estremamente grande o estremamente piccola, e se il Bianconiglio ne avesse preso l’avrebbe raggiunta in due passi.
Il Bianconiglio si tirò su, ancora molto affaticato, e si guardò intorno. Vide il fungo e la brama gli animò gli occhi, si alzò in piedi e ne staccò un pezzo.
Ma, all’improvviso, il fiore aprì i petali svelando una serie di denti affilati come rasoi e, rapidamente, ingoiò Bianconiglio e fungo per poi emettere un rutto soddisfatto.
“Che fiore beneducato!” pensò Alice, tutto sommato grata alla pianta carnivora. Ma, non volendo approfondire la sua conoscenza, magari dall’interno, si spostò di alcuni passi e iniziarono a chiacchierare amabilmente.
Il fiore, di tanto in tanto, sputava brandelli di stoffa e pelo.
(en passant: Lady Labirinth
Ludovico Einaudi)
Giulia Beltramino (2 B)