Ognuno ha i suoi gusti: c’è chi ama l’arte, chi apprezza il cibo, chi il teatro, e poi chi, come Klimt, preferisce le donne.
Sovente ritratte in atteggiamento fiero e distante, avvolte dalle loro lunghe chiome rosse, le donne di Klimt riscuotono ancora oggi un grande successo. Tutti abbiamo ben in mente le linee morbide, sinuose e delicate; i colori intensi quali l’oro, il blu oltremare, l’ocra e le brillanti tonalità dei mosaici bizantini usate per i drappeggi; le stole e i veli che ricoprono alcune delle figure femminili più famose della storia dell’arte.
Il Klimt più conosciuto, tuttavia, non è quello degli inizi, ma quello che diventa dopo aver tentato una prima strada stroncata dalla critica.
Pare che agli inizi della sua esperienza pittorica, infatti, il suo laboratorio fosse molto frequentato da donne che trascorrevano l’intera giornata vestite della stessa stoffa leggera della sua Giuditta I e che l’artista non puntasse tanto a creare l’eros ma a rappresentare la realtà attraverso la nudità delle modelle carica di viva sensualità. Poco si sa di questi disegni perché, per sua decisione, non furono mai esposti in pubblico.
A seguito delle diffamazioni e delle pesanti critiche ricevute da parte di una commissione viennese per le tre Allegorie dell’Università decise di abbandonare l’idea di accettare ulteriori committenze pubbliche e conservò unicamente per sé e per pochi intimi quei disegni erotici a lui tanto cari.
Ma da cosa nasceva questo rifiuto nei confronti dei suoi nudi?
L’episodio risale al 1893 quando, a lui e a Franz Marsh, venne commissionato l’incarico di rappresentare le tre categorie che richiamano la cultura (Filosofia, Medicina e Giurisprudenza).
La risposta di Klimt? Totale negazione di un’arte di tipo storicistico per prediligere invece un’idea nuova, tanto apprezzata all’estero quanto criticata nella sua terra natia. Un’arte non da capire razionalmente, ma nella quale immedesimarsi.
Klimt divenne così portavoce di una nuova visione del progresso: un progresso così fuori dal rigor di logica da spaventare l’opinione pubblica.
D’altronde, ieri come oggi, quello che non si conosce facilmente spaventa.
Nella Filosofia, Klimt crea una costruzione imponente composta da nudi umani che si abbracciano e si avviluppano tra loro, sul lato sinistro, mentre un volto enigmatico e misterioso occupa quello destro. Nella parte inferiore, un volto di donna con una folta chioma carbone simboleggia la sapienza. Nella Medicina, il pittore ripropone il turbinio di corpi nudi e la schiera di anime avvolte. La protagonista è in primo piano e ha le forme della bella Igea, la stessa che nella mitologia greca era venerata come dea della salute. Dietro di lei si stagliano corpi nudi e vulnerabili, avvolti dal manto nero della Morte.
È però la terza delle tele che suscita le critiche più feroci: rispetto alle precedenti, dipinte con colori caldi e freddi, qui il pittore decide di adoperare solo il nero e l’oro senza lasciare spazio ad alcuna allusione. Un debole corpo viene stretto nella morsa di un polipo che simboleggia la coscienza; tre figure femminili, personificazione delle Parche, lo circondano. A completare il tutto, sullo sfondo in alto, le allegorie della Legge e della Verità che circondano quella del Diritto.
Lo stesso artista ricorda l’insuccesso iniziale e la fine di quell’esperienza negativa nella lettera che indirizzò al ministro Von Hartel, filologo austriaco del suo tempo: “la mia opera – scriveva Klimt – è stata accolta com’è noto con ogni genere di insulti. Per terminare il lavoro che mi ha impegnato per tanti anni devo poterlo eseguire con gioia, e che gioia posso avere se, data la situazione, devo considerarlo solo una committenza statale? Ora intendo rinunciare restituendo con tanti ringraziamenti gli anticipi che mi erano stati elargiti gli anni passati”.
Le sue opere più famose ancora oggi sono il Bacio, Danae, L’abbraccio e molte altre, ma tutte dipinte molti anni dopo quel primo periodo di delusioni.
Il Klimt più celebre, tuttavia, non ha mai realmente cambiato il suo modo di dipingere: lo ha solo mascherato. Il pittore austriaco ci ha lasciato più di duecento disegni e abbozzi di corpi, prevalentemente femminili, a nudo; e sembra anche che gli stessi soggetti delle opere più famose siano stati prima ritratti a nudo e successivamente rivestiti con i tipici drappi colorati e aurei.
Dopotutto, vestiti o meno, anche se all’apparenza possiamo apparire diversi, tutti siamo fatti di carne e sangue.
Elena Vaudetti