Siamo attaccati alla vita non per la vita in sé, ma perché è popolata di tutte quelle persone che la rendono degna di essere vissuta. Egoisticamente rifiutiamo la morte delle persone che amiamo e stimiamo poiché, in un certo senso, è come se morisse una parte consistente di noi, come se avessimo sempre qualche conto in sospeso, perché ognuno di noi ha paura di ciò che non conosce e la morte, sebbene tanto scontata, è l’unica cosa di cui l’uomo non sa e non può sapere nulla. Non vogliamo affidare i nostri cari al dubbio, abbiamo paura di quel che capiterà loro: l’uomo è pavido, più di quanto lo sia chi davvero la morte sa di doverla incontrare a breve. Ma prima di analizzare i sentimenti di chi resta, bisogna indagare quelli di chi va. Cosa fa una persona, prima di morire? Cosa si agita nel suo intimo, quando conosce il suo destino, quando sa che questo destino è sicuro e inoppugnabile, prossimo? Si parla di malattie terminali, quelle che non lasciano scampo, che non guardano in faccia nessuno, che non si fermano davanti a nulla. Pare che la formula magica pronunciata da ogni medico quando è il momento di annunciare al paziente la sua più o meno vicina dipartita sia “torni a casa e sistemi i suoi affari”, e con questo il paziente capisce di doversi congedare dalla vita e dalle persone che ama, con rassegnazione e con coraggio. Molti di noi studenti conoscevano una donna, una volta, alta e bionda, con un gran sorriso: sembrava molto coraggiosa. Ci chiediamo come quella donna coraggiosa abbia salutato la vita, come abbia guardato la morte sapendo di doverla incontrare presto. Ci chiediamo se abbia pestato i piedi, se abbia pianto, ma è difficile immaginare qualcosa che oscuri quel suo grande sorriso, che distenda le rughe intorno agli occhi, che la renda tanto irrazionale da piangere. Riesce più facile immaginarla come una donna che, nel momento in cui la vita sembrava più flebile, più lontana, abbia reagito amandola ancora di più, cercando di viverla appieno per il tempo che le restava, senza perdere la forza che la contraddistingueva come persona e professoressa. E noi? Noi, come dobbiamo salutarla? Da amici, più che da studenti, salutiamola come saluteremmo un congiunto che parte per un viaggio. Per il viaggio.
Arrivederci, Anna, e buona fortuna.
“Non domandarmi dove porta la strada, seguila e cammina soltanto” (F. Battiato)
Giulia Beltramino (5B)